Una scuola che abbia «il gusto del futuro»
Martedì 14 settembre in Sardegna inizia l’anno scolastico
Ridare alla scuola «il gusto del futuro».
Questa espressione, utilizzata in più occasioni dal presidente Draghi per dare una prospettiva alla lotta contro la pandemia e allo sforzo per far ripartire la vita sociale ed economica del Paese, può essere applicata molto bene al nuovo anno scolastico.
Tra le realtà maggiormente segnate dalla dolorosa stagione del Covid-19 c’è sicuramente il mondo della scuola, privato per troppo tempo della sua essenziale dimensione relazionale, che può trovare una forma compiuta solo nella didattica in presenza.
Non è passato sicuramente inosservato il pressappochismo con cui lo scorso anno, da parte del Governo e degli enti locali, è stato gestito l’avvio e il proseguimento delle attività scolastiche.
Nell’ultimo anno, grazie all’impegno generoso di tanti docenti, il legame con gli studenti non si è mai interrotto del tutto.
L’esperienza dei mesi di maggio e giugno, con uno sforzo importante a favore della scuola in presenza, ha poi mostrato che non è affatto impossibile creare le condizioni per un’attività in sicurezza.
I nodi da sciogliere per il Governo e le amministrazioni locali sono ancora sul campo: la selezione e l’inserimento di nuovi docenti; i locali inadeguati; la dispersione scolastica; la gestione del trasporto pubblico; le misure di prevenzione del contagio.
Rispetto allo scorso anno non va trascurato il punto di forza costituito dal successo della campagna vaccinale.
La sua azione ha ormai coinvolto la stragrande maggioranza del personale della scuola, per il quale c’è l’obbligo del «green pass», e avanza in misura molto significativa anche tra gli adolescenti.
Due elementi tipici delle giornate scolastiche, il suono della campana e l’appello, possono aiutare a riflettere ulteriormente sulla ripresa di settembre.
Quella che suonerà all’inizio del nuovo anno scolastico è una sorta di «ultima campana»: non ci si può permettere un’altra stagione segnata da confusione e incertezza.
Nella consapevolezza che non esiste un «rischio zero», va data priorità alla scuola in presenza e in sicurezza, dove poter realizzare una piena relazione educativa.
Lo si deve in particolare agli studenti più fragili, come testimoniano i dati di diverse ricerche in cui si rilevano nell’ultimo anno l’aumento dell’abbandono scolastico e il calo nei livelli di apprendimento.
Il «rito» dell’appello è stato descritto in maniera incisiva nell’ultimo romanzo di Alessandro D’Avenia:
«Tutti dalla mattina alla sera lottiamo perché il nostro nome venga pronunciato come si deve. Lo cerchiamo dappertutto; […] perché questo è avere un nome: avere qualcosa o qualcuno che lo tenga al sicuro. […] La luce non è semplicemente quella che si riflette sulle cose, ma quella che ne esce quando le chiami per nome» («L’appello», 2020).
Bisogna avvertire come un imperativo morale il ripartire dai «nomi», dai volti e dalle storie di quei ragazzi e ragazze che sono la ragion d’essere e la prima risorsa della scuola.
C’è da dare ascolto e risposta alle incertezze, alle fatiche, alle domande, ai desideri di vita che emergono dai protagonisti di quell’appello quotidiano.
Sarebbe un’illusoria utopia quella di un mondo politico e di una società che volessero riconquistare il «gusto del futuro» senza partire, in modo concreto e responsabile, dal presente di bambini e ragazzi.
La scuola gioca un ruolo decisivo a questo riguardo, non può essere mai dimenticato.
Don Roberto Piredda
Direttore Ufficio diocesano di Pastorale scolastica
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