Sulla Cassa integrazione troppi i ritardi e molti gli abusi La pandemia ha messo in crisi il sistema di sostegno al reddito
I numeri della crisi da coronavirus sono drammatici. Lo certifica anche il Crenos, il Centro Ricerche Economiche Nord Sud, che venerdì scorso ha presentato il 27mo rapporto, dal quale emergono dati inquietanti per la Sardegna: meno 12 per cento del Prodotto interno lordo.
Un segnale che l’economia dell’Isola è in forte affanno, soprattutto dopo la serrata delle attività e la ripartenza che stenta ad essere tale.
La conseguenza è un elevato numero di persone senza lavoro.
Secondo alcuni dati in Italia sarebbero diverse centinaia di migliaia i senza lavoro, parliamo di chi aveva un regolare contratto. C’è poi chi, per diverse ragioni, operava senza alcuna regola e lavorava in nero, e qui il computo sarebbe difficile da fare.
Un lavoratore contrattualizzato ha diritto di ricevere un’integrazione per il mancato guadagno, la cosiddetta Cassa integrazione.
In realtà, complice la lentezza delle procedure di calcolo ed elargizione, a distanza di oltre tre mesi dalla serrata generale, ci sono troppe persone che ancora oggi attendono di ricevere quanto spetta e fa quindi fatica ad andare avanti. A rallentare le cose anche la necessità di verifica dei requisiti da parte dell’Inps, che eroga gli assegni. Il Governo nel solo decreto «Cura Italia» di marzo aveva stanziato 2,3 miliardi per ogni forma di cassa integrazione: ordinaria, straordinaria, in deroga.
Di norma per poter fruire degli ammortizzatori sociali è necessario avere dei requisiti minimi. Con il decreto del Governo invece l’unico requisito richiesto era che il lavoratore fosse in servizio prima del 17 marzo, data di pubblicazione.
Nei giorni scorsi il servizio anti-frodi dell’Inps ha scoperto che è stata fatta richiesta di Cassa integrazione da parte di aziende inesistenti, in settori incompatibili con il lockdown: i responsabili di queste imprese hanno presentato assunzioni retroattive, per far risultare in servizio il personale prima del 17 marzo.
Dentro hanno messo parenti, amici o soggetti che non lavoravano realmente nell’azienda.
C’è anche chi ha messo in cassa integrazione i propri dipendenti pur di non pagare loro gli stipendi.
La consueta prassi di approfittare di controlli meno stringenti questa volta ha rallentato le procedure, causando di fatto danni a chi necessitava di quei soldi, mostrando il volto peggiore di presunti uomini e donne di impresa, capaci di far passare per disonesta la maggioranza degli imprenditori.
Li chiamano furbetti: in realtà chi vuol trarre vantaggio da uno strumento importante come quello degli ammortizzatori sociali per risparmiare sulle spese aziendali, andrebbe perseguito e non certo annoverato tra gli esempi da seguire.
La Cassa integrazione è uno strumento importante a patto che non se ne abusi: si tratta di una misura temporanea, che purtroppo, in Sardegna e non solo, è oramai l’unica fonte di reddito per tante persone da troppo tempo in sospensione lavorativa.
Accanto al sostegno del reddito devono essere affiancate politiche attive del lavoro, capaci di riqualificare i disoccupati in cerca di risposte alle legittime aspettative occupazionali.
Il vulnus del sistema sta proprio qui: la mancanza di formazione adeguata, in un mercato in continua evoluzione, che richiede persone opportunamente preparate.
Se il sistema formativo non prepara, il mercato del lavoro non potrà accogliere né i giovani né tanto meno gli adulti senza qualifica: ecco allora la condizione di stagnazione nella quale il ricorso al sostegno al reddito resta, purtroppo, l’unica risposta, anche se la meno adeguata.
Roberto Comparetti
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