Così anche voi dite: «Siamo servi inutili» XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Da questo numero sarà don Emanuele Meconcelli, direttore del College Sant’Efisio, a commentare il Vangelo. Il grazie a don Emanuele Mameli per il servizio reso nelle ultime settimane.
Commento a cura di Emanuele Meconcelli
Lo scenario non è certo dei più rassicuranti.
Con un ritmo incalzante, nella sezione del Vangelo lucano che stiamo leggendo in queste settimane, si susseguono immagini attraverso le quali Gesù smaschera il cuore dell’uomo: c’è chi chiede di dividere l’eredità per farsi i fatti suoi; chi chiede un capretto per farsi i fatti suoi; c’è chi si è fatto i fatti suoi ed è stato accusato di essere un amministratore infedele; c’è chi ha lasciato Lazzaro morire di fame per farsi i fatti suoi.
A ben guardare, dietro ognuna di queste parabole, si nasconde il tema della ricchezza, vale a dire ciò a cui tu deleghi la soluzione della tua precarietà.
E la rassegna di esiti infausti che Gesù mette in scena è l’impietosa denuncia che l’uomo che confida in se stesso è maledetto (Ger 17,5), perché nel cercare rassicurazioni e certezze si chiude dentro un orizzonte troppo piccolo, che finisce per asfissiarlo.
Per questo gli apostoli cominciano a sentire una certa inquietudine, capiscono bene che loro non sono diversi da quel campionario di mediocri che è stato messo alla berlina dal Nazzareno.
Ecco allora il perché della domanda: «accresci la nostra fede». Detto per inciso, nel Vangelo di Luca i riferimenti agli apostoli sono pochissimi, quattro in tutto, e solo in questa circostanza sono riferite le parole dette da loro. Il che significa che si tratta di parole rilevanti.
Andiamo a vedere come l’interpellato risponde. Tu credi che Gesù ti rassicuri, ti tranquillizzi, ti prenda la manina impaurita e tremante, bisognosa di rassicurazioni e ti dica che non c’è problema, di stare pure tranquillo, che in qualche modo una soluzione si trova.
Invece il Maestro ancora una volta spiazza, gioca d’azzardo, rilancia. E ci spara un discorso tra i più antipatici e sgradevoli di tutti i vangeli.
Racconta di un servo che, dopo aver sgobbato una intera giornata nei campi del suo padrone, deve continuare a servire anche una volta rientrato a casa. E senza che questa abnegazione meriti il minino ringraziamento.
Che poi stia parlando proprio agli apostoli lo si capisce dal fatto che nella parabola si fa menzione di servi che arano e pascolano: arare è gettare il seme della Parola; pascolare vuol dire prendersi cura del gregge, accompagnare la comunità.
Insomma ti devi spaccare la schiena dalla mattina alla sera, devi lavorare fino a scoppiare e tutto questo senza neanche meritarti un grazie: avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Chi può compiere un’opera così? Chi può essere capace di spendere totalmente se stesso senza sentire il bisogno di una legittima gratificazione?
È evidente che Gesù stia conducendo un discorso paradossale, come spesso fa nel suo argomentare, con l’intento di portarti ad un bivio: nella vita puoi fare il passo a misura delle tue forze, puoi coinvolgerti in ciò che è alla tua portata e per tutto questo, per ciò che umanamente definiamo ragionevole non c’è bisogno della fede.
Per ciò che è ragionevole basti tu e e la tua ragione. Oppure puoi confrontarti con qualcosa di più grande di te, di impossibile, che eccede le tue capacità, il cui solo pensiero costituisce un azzardo. E sperimentare che puoi arrischiare il tuo azzardo solo se ti appoggi in Dio.
Avere fede, in ebraico, significa appoggiarsi. Se continui ad appoggiarti su di te e sulle tue ricchezze, farai opere piccine.
Prova ad appoggiarti su Dio e ad usare la tua fede: come hanno fatto gli apostoli, racconterai che hai visto l’eternità entrare nella tua vita.
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