Servizio Civile in Caritas: un’esperienza formativa Quattro giovani raccontano l'anno vissuto nelle attività diocesane
Volge al termine dopo un anno il Servizio civile che i giovani hanno svolto nelle attività della Caritas.
Un’esperienza arricchente e che resterà nella vita di ciascuno dei partecipanti.
«Se fosse possibile – afferma Alessia Zedda – mi piacerebbe trovare un’occupazione in Caritas, magari al Centro di accoglienza di via Po. In questo anno ho lavorato accanto a persone adulte, anche in avanti negli anni, e con loro abbiamo accolto chi veniva a chiedere un aiuto. Tante persone, quasi tutte sarde, a dispetto di quanto qualcuno sostiene che l’aiuto principale vada agli stranieri, ma non è così. Al centro ho instaurato dei bellissimi rapporti, con chi fa il volontario da tempo e con chi lo frequenta come utente. Ci sono persone di Cagliari ma tantissimi arrivano anche dalle zone intorno alla città, ma anche distanti da Cagliari».
«L’esperienza che ho vissuto qui – conclude Alessia – è stata arricchente, perché tocchi con mano realtà di cui hai solo sentito parlare. Aver constatato la condizione di molte persone in situazione di bisogno, ti fa rendere di come sia problematica la loro vita. L’esperienza vissuta con il Servizio civile la consiglierei a tutti: è davvero formativa sotto tutti i punti di vista».
Una conferma arriva anche da Gaudenzio Putzolu, che ha svolto il servizio nel centro d’Ascolto per stranieri «Kepos». «Ripensando a questo anno di Servizio Civile – afferma – posso dire che è stata un’esperienza che merita di essere fatta. Non avevo mai prestato opera di volontariato ma devo dire che è stata arricchente. Ho verificato con mano le difficoltà che i migranti vivono nell’essere in un Paese che non conoscono e dove non parlano la nostra lingua. Per questo il servizio di orientamento che viene svolto dal Centro è fondamentale nel permettere loro di integrarsi nella nostra società. Grazie alla conoscenza delle lingue ho avuto la possibilità di rapportarmi con queste persone, anche se a volte l’impossibilità di fornire loro ciò che chiedevano ha provocato incomprensioni. In una situazione come quella che vivono persone lontane da casa può essere frequente cadere nella rabbia e nella frustrazione».
«Un buon rapporto – conclude Gaudenzio – si è instaurato anche con i mediatori culturali, con i quali abbiamo realizzato momenti di formazione, utili anche dal punto di vista “professionale”. Un anno di Servizio Civile è capace di farti cambiare prospettiva su alcune realtà e il Centro “Kepos” mi ha aiutato a guardare al fenomeno migratorio con occhi diversi».
Chiara Maccioni, con alle spalle studi in Scienze dell’educazione, ha svolto il Servizio nell’oratorio sant’Eulalia. «Per me – racconta – è stata un’esperienza formativa importante, perché ho avuto la possibilità di verificare sul campo le competenze acquisite all’università. L’ambiente multiculturale, che caratterizza il quartiere Marina di Cagliari, è stato uno stimolo di crescita maggiore nelle competenze e nella comprensione delle dinamiche che ruotano attorno ai rapporti tra bambini e ragazzi di provenienza differente. Una crescita culturale personale importante che porto via con me, insieme alla rete di rapporti che si sono instaurati e che hanno decisamente un forte valore formativo dal punto di vista personale».
«Se dovessi dare un giudizio complessivo o mi venisse chiesto un parere non avrei dubbi nell’indicare l’anno di Servizio Civile come un’opportunità da non farsi sfuggire, proprio perché è altamente formativa da tutti i punti di vista, anche professionale».
Gabriele Piredda, studente universitario che deve concludere gli studi, invece ha trascorso l’anno di Servizio civile in Mensa, in viale sant’Ignazio. «È stato – dice – un anno piacevole, che avrei voluto vivere unendo il Servizio civile al proseguimento degli studi, ma non è stato possibile. Tuttavia questo tempo trascorso in Mensa mi ha offerto la possibilità di conoscere da vicino la povertà, così come quale sia il funzionamento della Caritas e dei suoi servizi, quali risposte cerca di dare alla persone in gravi difficoltà. Si tratta sia di italiani che stranieri, privi di sostegno che bussano alla nostra porta per chiedere aiuto».
Tra gli utenti della mensa ci sono persone costantemente presenti e altre che invece vi accedono con meno frequenza. «Con tutti – continua Gabriele – si instaura un rapporto fatto di accoglienza, di ascolto delle esigenze di ciascuno, cercando di rendere quel momento del pasto, per così dire “familiare”. In alcuni casi con qualcuno riesci ad avviare un breve dialogo, anche se la maggioranza una volta mangiato va via. Restano i rapporti creati con chi tutti i giorni lavora nella Mensa. Per questo penso che un’esperienza del genere sia arricchente: ti permette di crescere nella conoscenza di altre persone e nel contempo senti che pian piano stai maturando».
Roberto Comparetti
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