Ripensare in modo europeo: regole e solidarietà Le tensioni devono lasciare il posto all'unità e alla ragione

RipensareC’è una aria mefitica che circola in Europa causata, non solo a causa delle polveri sottili rilasciate dagli scarichi di motori e dalle industrie, ma dalla continua delegittimazione di tutto ciò che, nel corso degli ultimi settant’anni, è stato costruito, permettendo così al Vecchio Continente di vivere il più lungo periodo di pace nel corso della sua storia.

Chiunque rappresenti una delle istituzioni europee troppo spesso è visto come fumo negli occhi.

Anche il Sinodo dei Vescovi, giunto alla battute finali, ha preso in esame le difficoltà che sta attraversando l’idea stessa di Europa unita.

Monsignor Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, si è detto «molto preoccupato per i totalitarismi e i populismi, che potrebbero distruggere la costruzione europea che abbiamo realizzato».

Il presule, presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea (Comece), ha evidenziato come l’attuale assetto dell’Europa «si può anche criticare, ma finora ci ha garantito la pace ed è stata causa di pace in tutto il mondo».

In ogni totalitarismo, ha proseguito Hollerich, «c’è sempre un certo egoismo: ci si preoccupa della felicità solo dei propri cittadini, degli altri non ci si cura».

Il cardinale Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Città del Messico, ha invece definito un «totalitarismo nuovo»: quello dell’«anonimato nelle reti, che viene manipolato e genera ideologie in modo nascosto».

Nei Vescovi quindi c’è timore per la deriva che il Continente sta prendendo, anche in vista delle prossime elezioni europee fissate in primavera.

Tra i tanti motivi, che sottendono ad una disaffezione così profonda all’idea di una Europa unita,  c’è la condizione di povertà che interessa milioni di cittadini, vittime di una crisi che stenta ad essere superata.

In dieci anni è triplicato il numero di chi vive sotto la soglia di povertà e non riesce a risollevare la propria condizione.

In particolare negli Stati del sud del Continente questa situazione è decisamente drammatica.

È dei giorni scorsi la presentazione del rapporto Caritas dal quale emerge che almeno cinque milioni di italiani vivono in stato di precarietà: oltre la metà sono giovani sotto i 34 anni.

Sono loro le prime vittime della crisi e i primi a seguire le sirene di chi dice che le regole sancite da accordi internazionali non vanno più seguite.

La delegittimazione delle istituzioni è poi molto viva anche nel nostro Paese, l’ultimo episodio ha per vittima il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Non meraviglia visti i tempi di disintermediazione nei quali siamo immersi: chiunque svolga un ruolo di mediazione, dai politici ai giornalisti, è oggetto sistematico di attacchi, complice l’uso distorto dei new media.

Una strada per uscire dal guado Francesco l’aveva indicata oltre un anno e mezzo fa, ricevendo in Vaticano i Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma «Occorre – aveva detto il Papa –  ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa».

Roberto Comparetti

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico