Rimase quaranta giorni nel deserto, tentato da Satana
I Domenica di Quaresima (Anno B)
Rimase quaranta giorni nel deserto, tentato da Satana.
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana.
Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Da questo numero sarà suor Nolly Jose Kunnath, delle Figlie di San Giuseppe di Genoni, docente di Sacra Scrittura all’Istituto Superiore di Scienze religiose di Cagliari, a commentare il Vangelo.
Grazie a don Walter Onano per il servizio reso nelle ultime settimane.
Commento a cura di Nolly Jose Kunnath
Fin dai tempi antichi, la Quaresima fu considerata un periodo di rinnovamento della vita.
Le pratiche da compiere erano soprattutto tre: la preghiera, la lotta contro il male e il digiuno.
La liturgia della prima domenica di Quaresima le riassume tutte, proponendoci le tentazioni di Gesù nel deserto nella versione di Marco, la più breve rispetto agli altri evangelisti: solo due versetti.
Gesù, uscito dall’acqua del battesimo al Giordano, vede lo Spirito discendere su di lui come colomba.
Quello stesso Spirito che, subito, lo sospinge nel deserto.
Il soggetto principale è allora lo Spirito, la cui azione è violenta. L’originale greco usa addirittura il verbo «ekbállō» (lo Spirito lo «gettò fuori» nel deserto).
È il verbo usato in Marco anche per l’espulsione dei demoni.
Ciò che Gesù vive è, allora, un atto forte, un’espulsione violenta, un essere gettato fuori, che lo mette alla prova, lo tenta.
È anche uno strappo rispetto alla bellezza appena vissuta (della vita col Padre).
Gesù risponde senza compie azioni, semplicemente «rimane» nel deserto.
Sta con gli animali lì presenti in una sorta di esilio, in una condizione di esposizione al rischio.
Sta per «quaranta giorni», un periodo lungo che simboleggia tutta una vita – sottoposta alla tentazione e alla prova.
Rispetto agli altri evangelisti Marco inserisce i dettagli sulle «bestie selvagge» e degli «angeli», che per tutto il tempo servono e badano a Gesù e contrastano l’azione istintiva e minacciosa dei primi.
L’evangelista vuole ricordarci che, come in Gesù, nella vita c’è il deserto, che è timore, solitudine e smarrimento, ma anche il servizio continuo degli angeli, nel senso che la consolazione ci accompagna anche nella sofferenza.
La simbologia delle bestie selvagge è molto semplice: il termine greco «thēríon» (bestia, animale selvaggio), usato in Mc 1,13, appare già in Genesi 1,24-25 e si riferisce agli animali che Dio aveva creato.
Il racconto della lotta dell’uomo per dominare la bestia ci riporta invece al racconto di Caino e Abele in Genesi 4: dopo che Dio ha accettato il sacrificio di Abele, Caino è arrabbiato.
Ma Dio lo ammonisce con queste parole: se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto?
Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai (4,7).
Il peccato è individuato come una bestia selvaggia «che siede» all’esterno della porta (del cuore) e cerca di balzare su Caino per divorarlo appena esce.
L’esortazione di Dio a Caino è di dominare il male, averne il suo dominio come un uomo addomesticherebbe una bestia selvaggia.
L’immagine delle bestie selvagge che si trovavano con Gesù nella natura selvaggia rievocano, allora, questa scena.
Le «bestie selvagge» sono simbolo di quelle motivazioni indisciplinate, crudeli, difficili da domare che noi chiamiamo tentazioni, che disumanizzano l’essere umano.
Queste non sono bestie che ci assalgono da fuori ma piuttosto, da dentro, cercano di allontanarci da Dio.
Il nostro Signore Gesù è dunque il nostro modello, la guida da seguire nell’affrontare il deserto.
Ogni cristiano è invitato a domare nel suo cuore le bestie selvagge della disobbedienza.
Attraverso la disciplina del digiuno, della preghiera e dell’astinenza, è invitato a tendere il proprio cuore verso la voce di Dio che ci umanizza; e a perfezionarsi nell’obbedienza a essa.
Cercare di conoscere Cristo significa anche prendere coscienza di quel nostro bisogno di cambiamento di vita che chiamiamo «“pentimento».
Mediante la liturgia della Chiesa ci avviciniamo a Cristo e facciamo esperienza della sua presenza in mezzo a noi; nel mistero che celebriamo, diventiamo «uno» con Cristo che ha riscattato il mondo.
Auguro un periodo pieno di Spirito quaresimale a tutti.
Rimase quaranta giorni nel deserto, tentato da Satana.
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