Recuperiamo quel bene comune chiamato salute Il Covid-19 ha messo a nudo le carenze del sistema sanitario

«La drammatica crisi determinata da Covid-19 ha improvvisamente messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica nel voler trattare il Servizio Sanitario Nazionale come un’entità essenzialmente economica alla ricerca dell’efficienza e dei risparmi, mentre la salute della popolazione è un investimento con alti rendimenti, sia sociali sia economici».

Così Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica e direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, commenta la XVII edizione del Rapporto «Osservasalute», presentato nei giorni scorsi.

Il documento è frutto del lavoro di 238 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Asl, ospedali, Istituto superiore di sanità, Cnr, Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori, ministero della Salute, Aifa e Ista.

Dal documento emerge che il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare la pandemia.

Le regioni non hanno avuto le stesse performance, di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura.

Secondo l’Osservatorio l’esperienza Covid-19 ha acceso i riflettori sulla fragilità dei servizi sanitari regionali nel far fronte alle emergenze; il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace, le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi particolarmente disomogenee, spesso imprecise e tardive nel comunicare le informazioni.

In Sardegna i problemi generati dal blocco delle attività nelle settimane di lockdown, si sono fatti sentire sulle persone affette da patologie importanti, che hanno vissuto una sorta di sospensione.

Lo sanno bene i malati oncologici, che, all’ospedale Oncologico di Cagliari, nei primi giorni di serrata hanno atteso per ore di poter accedere agli ambulatori e ricevere le cure chemioterapiche.

Ancora i diabetici sardi alle prese con ritardi incredibili sulle visite di controllo: c’è chi parla di 7-9 mesi, prima di poter accedere all’ambulatorio ospedaliero.

Non ultima la vicenda del servizio di diabetologia che dall’ospedale di San Gavino è stato trasferito nella sede dell’ASSL di Sanluri, con inevitabili disagi per i pazienti, molti dei quali costretti a fare i pendolari.

Si calcola che durante la serrata siano state sospese e rinviate non meno di un milione e duecentomila visite ambulatoriali.

Da pochi giorni sono state riavviate le attività negli ambulatori pubblici, mentre in quelli privati sono oramai riprese da tempo.

Significativo il dato sui laboratori di analisi: al momento di andare in stampa vengono segnalati ancora casi di presidi pubblici di fatto fermi, mentre quelli privati continuano a ricevere i campioni ematici dei pazienti.

Come ha evidenziato il Rapporto «Osservasalute», tagli e riduzioni dei servizi hanno avuto conseguenze anche sulla gestione delle emergenze sanitarie nel nostro Paese.

La pandemia ha messo in luce la necessità di riorganizzare e sostenere con maggiori risorse il ruolo del territorio nella gestione della sanità pubblica.

C’è bisogno di una medicina vicina alla gente: la salute non può essere misurata col solo metro dei bilanci aziendali.

È un bene comune e come tale va prioritariamente tutelato.

Roberto Comparetti

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