Preghiamo i Santi Innocenti per le stragi di bambini
In Cattedrale la Messa presieduta da monsignor Baturi
Nella festa dei Santi Innocenti l’Arcivescovo ha celebrato l’Eucaristia in Cattedrale, in occasione della quale ha voluto ricordare gli anniversari di ordinazione sacerdotale di alcuni presbiteri della Diocesi.
Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata durante la Messa.
Eccellenza Reverendissima, carissimo fratello Mosè,
Carissimi fratelli nel sacerdozio, diaconi, seminaristi, membri della vita consacrata,
Carissimi fratelli tutti in Cristo,
san Quodvultdeus si rivolgeva così al crudele Erode: «Le madri che piangono non ti fanno tornare sui tuoi passi, non ti commuove il lamento dei padri per l’uccisione dei loro figli, non ti arresta il gemito straziante dei bambini» (dall’Ufficio delle letture).
Parole che potrebbero essere rivolte ancora oggi a tanti e in diverse parti del mondo.
Tra i segni più tristi dei nostri tempi vi è certamente il cinismo con cui i bambini vengono uccisi, usati come strumenti di guerra oppure di piacere, o comunque non accolti nella vita.
Dobbiamo chiedere anche l’intercessione dei Santi Innocenti perché si fermino le nuove stragi di bambini.
Il Verbo si è fatto carne per raccogliere anche i bambini rifiutati dal potere dispotico dell’uomo e donare loro la felicità eterna.
Un’antica omelia afferma che «morendo per tutti, [Cristo] ha loro concesso [ai santi innocenti] la vita definitiva, permettendo a quei numerosi fanciulli di rallegrarsi in cielo e di gioire nella gloria dell’Agnello.
Fra di loro l’Agnello esulta, lui che fu sospeso alla croce per la salvezza del mondo».
Questi bambini muoiono a causa di Gesù, a suo posto, e per riscattarli dal nulla della morte Cristo muore e risorge per loro.
Anche questo appartiene al «sublime scambio» che celebriamo a Natale: «la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale».
Il sublime scambio del Natale si realizza nella mirabile comunione con Cristo, che riscatta il nostro destino e consente la libertà dal potere.
L’ultima parola, il punto di vista definitivo sull’uomo e sulla storia, è la risurrezione di Cristo, non la volontà dell’uomo e del potere.
Annunciare l’incarnazione e la risurrezione di Gesù Cristo significa porre dentro la storia il punto definitivo di giudizio.
Non vittime casuali di un capriccio di potere ma santi abbracciati da Dio, sono i bambini che ricordiamo oggi.
E per la stessa ragione possiamo chiedere a tutti con forza di rispettare nei bambini, di riconoscere e servire in ciascuno di loro, l’immagine di Dio, la somiglianza con il suo Figlio che, come nella mangiatoia di Betlemme, chiede cura, si affida alla nostra premurosa custodia.
In questa celebrazione eleviamo insieme la preghiera per i nostri fratelli che quest’anno hanno celebrato un anniversario sacerdotale particolarmente significativo.
50 anni
- S.E. Monsignor Mosè Marcia, Vescovo emerito di Nuoro;
- Don Pietro Paolo Putzu;
- Don Ennio Matta;
- Don Antonio Usai;
- Don Giampiero Zara.
40 anni
- Monsignor Giovanni Ligas.
25 anni
- Don Gabriele Casu;
- Don Giuseppe Casu;
- Don Pietro Mostallino;
- Don Sandro Piludu;
- Don Luigi Giuseppe Spiga.
10 anni
- Don Davide Meloni;
- Don Carlo Devoto.
È mia intenzione rendere annuale questo appuntamento di gratitudine, nelle date riconosciute più idonee, perché la memoria del gesto sacramentale che ci ha costituiti ministri del Signore e della Chiesa ha un valore profondamente ecclesiale, come tutto lo svolgimento del nostro ministero.
Opportunamente le Premesse della Benedizione nell’anniversario dell’ordinazione sacerdotale affermano che «per la sua indole un giubileo ministeriale viene ad assumere un rilievo e una dimensione comunitaria, perciò giustamente viene spesso solennizzato in un’unica celebrazione diocesana con il Vescovo attorniato dal suo presbiterio» (Benedizionale, n. 1913).
Sono tre le direzioni della nostra preghiera.
Anzitutto, la tensione alla gloria di Dio. Il Decreto conciliare «Presbyterorum ordinis» afferma che «il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l’opera di Dio realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita» (n. 2).
È questo il contributo fondamentale che diamo al bene degli uomini: che tutti possano vivere e godere la gioia di incontrare, riconoscere, accogliere la salvezza che splende nel volto di Cristo.
Tale fine costituisce il significato della nostra vita e ministero, dà ragione della generosità della nostra dedizione e giudica le nostre pigrizie, detta le condizioni personali ed ecclesiali entro le quali esso deve svolgersi.
Per la gloria di Dio e il bene degli uomini, anche il momento del rallentamento e della solitudine, della malattia e della incomprensione è prezioso.
Il vertice dell’azione pastorale è l’offerta di se stessi.
La nostra preghiera è perché si ravvivi in voi il dono di Dio che consente di agire in nome e nella persona di Cristo (cf. 2Tm 1,6).
Ravvivare il carisma del sacerdozio ministeriale è opera, certamente, della grazia, al quale tendono il desiderio e la preghiera, ed esige in noi la continua e fedele offerta del nostro «adsum»: eccomi.
Ad ogni occasione: eccomi, ci sono.
Come si esprime la Preghiera eucaristica II, noi siamo chiamati a «stare alla […] presenza» di Cristo. Nell’eucarestia, di certo, come in ogni circostanza e incontro nei quali Egli viene.
«Eccomi», perché «non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio» (Gal 2,20-21a).
Facciamo nostre le parole di San Paolo.
Non è vana la grazia dell’ordinazione che ci svuota di noi stessi per farci vivere di Cristo.
Preghiamo insieme, infine, nella consapevolezza che, pur con tutti i condizionamenti e limiti umani, i membri del presbiterio sono uniti in una fraternità costituita dal Signore e posta al servizio del popolo di Dio.
La nostra fraternità è preziosa perché ci è data, non è fatta dalla convergenza di interessi, progetti, affetti.
E quando ci accorgiamo di qualche ruga e macchia che rendono meno bella la nostra comunione, ricordiamoci che la sua santità dipende in qualche modo da ciascuno di noi, sull’esempio di Cristo che per rendere più bella la Chiesa-Sposa, ha dato se stesso.
Senza accusare altri o recriminare, ha semplicemente offerto la vita (cf. Ef 5,26-27).
Cari fratelli, rendiamo grazie a Dio per voi e lo supplichiamo perché vi conceda la grazia di un ministero fecondo, in una sempre più stretta conformazione a Cristo, il Buon Pastore.
A voi, cara eccellenza e cari fratelli tutti, la grazia, la misericordia e la pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
+ Giuseppe Baturi – Arcivescovo Metropolita di Cagliari
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