Piccoli comuni sono a rischio estinzione Entro il 2060 almeno 31 centri dell'Isola saranno deserti
Le previsioni sono decisamente fosche. Entro i prossimi quarant’anni trentuno centri dell’Isola non esisteranno più, spazzati via dallo spopolamento.
Secondo i demografi, se non arriverà un deciso cambio di rotta e la tendenza proseguirà, la Sardegna sarà prevalentemente popolata lungo le coste e nei due maggiori centri, Cagliari e Sassari. Per il resto un immenso deserto, fatto di paesi fantasma, forse con qualche casa abitata ma servizi inesistenti.
Potrebbe sembrare la trama di un film ma in realtà è quanto, in parte, si sta già verificando in alcuni piccoli centri, che scontano la riduzione, se non la cessazione, di servizi pubblici: dallo sportello bancario all’ufficio postale, dalla guardia medica alla farmacia, come se chi risiedesse in questi luoghi, a volte veri gioielli architettonici e di pacifica convivenza, non dovesse avere gli stessi diritti di chi abita nei maggiori centri.
La politica regionale prova a trovare soluzioni, anche se è difficile invertire la tendenza con le armi spuntate.
Nei giorni scorsi, nella sede del Consiglio regionale a Cagliari, un convegno ha messo di fronte amministratori locali, consiglieri regionali e parlamentari, per la presentazione della «Carta di Ollolai», il volume che racchiude gli atti di un convegno sullo spopolamento delle zone interne della Sardegna, organizzato dall’associazione degli ex-parlamentari.
Ciascuno ha proposto la sua ricetta ma la sensazione è che si stia camminando un po’ in ordine sparso, senza una visione d’insieme che dovrebbe caratterizzare l’azione di contrasto alla moria dei comuni sardi.
È urgente recuperare decenni di immobilismo, nei quali ciascuno ha continuato a difendere il proprio recinto non agevolando un processo che, in altre zone d’Europa, ha permesso di salvaguardare il patrimonio antropologico rappresentato dai centri più piccoli, spesso rifugio e luoghi di accoglienza per chi si è allontanato dal caotico vivere delle grandi città.
Esiste un enorme problema infrastrutturale che fatica ad essere risolto: dalla mancanza del metano alla dorsale ferroviaria, passando per lo stato, a dir poco penoso, della rete viaria, senza dimenticare la riduzione dei servizi e il cosiddetto «digital divide», con intere zone dell’Isola nelle quali l’informatizzazione resta una chimera.
Come uscirne? Secondo Giuseppe Puggioni, già docente di Statistica Sociale, alla Facoltà di Scienze politiche a Cagliari, occorre rendere appetibile la vita nelle zone interne
Uno degli strumenti utili per arginare lo spopolamento è la cultura. Armungia, unico centro della diocesi, dei 31 comuni a rischio sparizione, ha ospitato «Un caffè ad Armungia», il festival che ha provato a mettere a confronto esperienze nazionali di rinascita o ripopolamento comprese nella Rete dei piccoli paesi.
Come raccontano gli organizzatori la cultura è veicolo di promozione del territorio, della sua storia e della sua identità.
Seguire l’esempio di Armungia in una dimensione di cooperazione intercomunale, «perché – come è stato detto al convegno in Consiglio Regionale – i Comuni da soli non ce la fanno», potrebbe rappresentare una possibile via d’uscita, ma non basta. Occorre abbandonare una visione ristretta al proprio paese per sposare una scelta di condivisione: solo uniti si può arginare la tendenza allo spopolamento, disponendo di maggiore peso specifico nelle richieste di sostegno al Governo e all’Unione Europea, anche in fase di progettazione degli interventi, per i quali sono disponibili fondi di contrasto alla paurosa deriva in atto.
Si tratta di lavorare insieme per ottenere un unico risultato: salvare il patrimonio rappresentato dai nostri piccoli comuni.
Roberto Comparetti
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