Il peccato d’aborto resta comunque grave Dopo le polemiche seguite alla pubblicazione della lettera «Misericordia et misera», un chiarimento per comprendere meglio ciò che il Pontefice ha scritto
«Misericordia et misera sono le due parole che Sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore. (…) Il suo insegnamento viene a illuminare la conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia, mentre indica il cammino che siamo chiamati a percorrere nel futuro».
Esordisce così la Lettera apostolica «Misericordia et misera» scritta da papa Francesco.
Alcune tra le riflessioni contenute nel documento pontificio hanno generato un dibattito aperto circa il loro significato.
«Concedo ─ si legge al punto dodici ─ d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione».
Per don Paolo Sanna, docente di bioetica presso la Pontificia facoltà teologica della Sardegna, «non c’è dubbio che il significato contenuto nelle riflessioni di Francesco stia tutto nel termine Misericordia, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo».
Come si inserisce il dibattito circa l’aborto?
Ritengo che si sia fatto un gran parlare su questo aspetto del documento, ma in realtà la lettera del Papa contiene notevoli spunti che vanno oltre l’aspetto specifico dell’aborto. Si sono chiuse le Porte sante nelle diocesi e a Roma, ma la porta della misericordia del cuore di Dio rimane sempre spalancata.
Cosa si intende per aborto volontario e in quale modo si esprime il Diritto canonico?
Per aborto volontario, da distinguere da quello spontaneo, si intende «l’uccisione deliberata e diretta, comunque attuata, di un essere umano (per giunta innocente) nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita». Secondo il Codice di Diritto canonico «chi procura l’aborto, ottenendo l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae», cioè per il fatto stesso di averlo commesso. La Chiesa ha sempre concesso la possibilità del perdono, evidentemente soltanto davanti ad un profondo pentimento. Per sottolineare la particolare gravità dell’aborto, era uno dei pochissimi delitti contro i quali anche il Codice di diritto canonico del 1983 ha mantenuto la scomunica, una pena definita anche «medicinale» perché ha come unico fine quello di aiutare chi lo avesse commesso a ravvedersi e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza. Tale peccato era riservato ai vescovi che concedevano ai sacerdoti delle loro rispettive diocesi la facoltà di assolverlo. Ma già in occasione del Giubileo papa Francesco aveva concesso a tutti i presbiteri tale facoltà e ora, con la Lettera apostolica, questa concessione diventa permanente.
E la censura?
La gravità del peccato d’aborto rimane immutata come ribadito dallo stesso Papa. La scomunica riguarda la persona e la Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso e il danno irreparabile causato.
Cosa cambierà?
Nella presentazione della Lettera monsignor Fisichella ha lasciato intendere che ci sarà una riforma del Codice ma la scomunica non cade: cambia la via per esserne liberati.
Maria Luisa Secchi
© Copyright Il Portico