L’epidemia e le due lezioni: la fragilità e la solidarietà Riflessione attorno alla lettera del preside di Milano
«La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia» («I Promessi Sposi», cap. 31).
Le parole di Alessandro Manzoni hanno ispirato, in questi giorni segnati dalla diffusione del Coronavirus, le preziose riflessioni del dirigente scolastico del Liceo scientifico «Volta» di Milano, Domenico Squillace, contenute in una lettera indirizzata agli studenti della sua scuola.
L’invito del dirigente scolastico è quello di non lasciarsi rubare la bellezza delle piccole cose di ogni giorno: «Voglio dirvi di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro».
Il rischio più grande, ha sottolineato Squillace, «è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia. […] Usiamo il pensiero razionale per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero».
Prendendo spunto dalle parole del dirigente, possiamo tentare di mettere in luce due «lezioni», da fare nostre non solo al tempo del Coronavirus: quelle della fragilità e della solidarietà.
Viviamo in un mondo che ha raggiunto delle conquiste importanti in campo scientifico, sociale ed economico, eppure in questi giorni, forse come non mai, tocchiamo con mano la nostra fragilità. Ci scopriamo vulnerabili e quelle certezze alle quali ci eravamo affidati mostrano i loro limiti. Ci accorgiamo di non poter controllare tutto e che rimuovere dal nostro orizzonte la questione del male e della morte è soltanto un’illusione.
La comune esperienza della fragilità offre anche l’occasione di riscoprire il legame con gli altri, reso ancora più forte dalla solidarietà reciproca.
In questi giorni emerge chiaro, ad esempio, il lavoro di tante persone che spendono la loro vita a favore degli altri, spesso in modo nascosto o poco apprezzato. Accanto a questo scopriamo tanti gesti di ordinaria carità. Cinismo ed egoismo non hanno per forza l’ultima parola, la capacità di farsi prossimo degli altri resiste ancora.
Le «lezioni» della fragilità e della solidarietà ricevono poi una luce particolare dal messaggio cristiano, specialmente in questo inizio di Quaresima.
La realtà del Coronavirus ci mette in crisi, ma, nonostante le gravi difficoltà da non trascurare, potrebbe diventare anche una sorta di «deserto», nel quale riscoprire l’essenziale.
Papa Francesco, nella catechesi del Mercoledì delle Ceneri, ha mostrato il valore del «deserto»: «Inseguiamo mille cose che paiono necessarie e in realtà non lo sono. Quanto ci farebbe bene liberarci di tante realtà superflue, per riscoprire quel che conta, per ritrovare i volti di chi ci sta accanto. […] Entriamo nel deserto con Gesù, ne usciremo assaporando la Pasqua, la potenza dell’amore di Dio che rinnova la vita». In queste giornate convulse c’è una vera sapienza del vivere che chiede spazio. Non dimentichiamolo.
Roberto Piredda
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