L’ecumenismo non è un affare per pochi specialisti L'impegno di tutti per chiedere il dono dell'unità delle Chiese
Un antico racconto appartenente alla mistica islamica narra di una città, i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno arrivò un re, portando con sé il suo elefante. Il popolo era ansioso di sapere come fosse l’elefante e alcuni dei cittadini si precipitarono alla sua scoperta. I ciechi cominciarono a tastare il pachiderma e ognuno di loro credette di sapere cos’è un elefante per averne toccato una parte.
Tornati dai loro concittadini, riferirono quanto avevano appreso. Colui che aveva toccato l’orecchio disse: «Si tratta di una cosa ruvida, larga e lunga, come un tappeto». Colui che aveva toccato la proboscide disse: «Somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo». Colui che aveva toccato una zampa disse: «È possente e stabile come un pilastro». La percezione di ognuno era errata; nessuno poteva conoscere l’elefante nella sua totalità!
Confondere un elefante con un tappeto, un tubo o un pilastro ci sembra quasi impossibile, addirittura buffo; eppure si tratta di un errore che facciamo spesso: tutte le volte che dimentichiamo il nostro limite e pretendiamo di essere gli unici detentori della verità.
Tanto più quando questa Verità coincide con Dio stesso. L’uomo, pur creato «capace di Dio» (capax Dei), è sempre troppo piccolo per contenerLo. Così la Chiesa: è portatrice di un Mistero che la supera, beneficiaria della Verità che le si consegna in Gesù; ma non ne è padrona, ne resta serva e discepola. Ogni giorno è chiamata ad uscire alla scoperta di Dio, che si è rivelato in Gesù e continua ad essere presente nella storia. Non una «società perfetta», ma un popolo umile, «piccolo gregge» (Lc 12,32) che continuamente impara dalla vita; cammina nel mondo condividendo i suoi passi con ogni uomo, assetato di giustizia e verità. È l’amore per la Verità che spinge i cristiani alla fatica del dialogo ecumenico. Per questo motivo Giovanni Paolo II, nell’enciclica «Ut Unum Sint», afferma che «l’ecumenismo autentico è una grazia di verità» (n. 38). L’ecumenismo è camminare insieme verso la Verità, che è Cristo stesso.
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci ricorda anzitutto il nostro limite: la divisione è sempre frutto della nostra cecità, del peccato. In questo caso si tratta di un vero e proprio scandalo: le nostre «diverse» Chiese hanno lacerato l’unico Corpo di Cristo, in aperta contraddizione con la Sua volontà. Abbiamo messo al primo posto la nostra limitata percezione del Mistero; abbiamo permesso che idee, presunzione, egoismo prevalessero sulle relazioni di accoglienza e d’amore che devono regnare nella comunità di Gesù: Egli ci ha chiesto anzitutto di amarci, gli uni gli altri (Gv 15,17). Le chiese allora invocano anzitutto il perdono da parte di Dio. In secondo luogo pregano il medesimo Dio e Signore perché conceda «l’unità che Egli vuole, con i mezzi che Egli vuole e nel modo che Egli vuole», come affermava l’abbé Paul Couturier, inventore della Settimana di preghiera.
L’unità infatti non dipende dagli sforzi umani, ma è dono dello Spirito. Per ricevere questo dono, occorre comprendere di averne bisogno tutti. Il tema di quest’anno esprime bene questo atteggiamento: «Potente è la tua mano, Signore» (Es 15,6).
L’espressione è tratta dal cantico di Mosè e di Miriam, con il quale si dà lode a Dio, riconoscendo che la liberazione dall’Egitto è frutto della Sua potenza. Tutti gli israeliti cantarono questo inno, dice il libro dell’Esodo (Es 15,1): l’ecumenismo non è un affare per pochi specialisti.
La preghiera per l’unità deve coinvolgere ogni cristiano e tutta la Chiesa: tutti abbiamo bisogno che la «grazia di verità» ci renda un po’ meno ciechi.
Mario Farci – Direttore dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e dialogo
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