Le scuole chiuse sono una ferita aperta

Da marzo 2020 gli studenti costretti alle lezioni online

«Le scuole chiuse sono una ferita per tutti». Sono parole del presidente Mattarella, pronunciate lo scorso aprile, nel pieno della prima e imprevedibile ondata della pandemia, davanti alla quale si corse ai ripari chiudendo gli istituti scolastici. Stiamo andando verso la fine del mese di gennaio, sono passati circa otto mesi e, almeno per la scuola secondaria di secondo grado, la situazione non è cambiata di molto. La «ferita» è rimasta aperta. 

Nel mentre cosa è accaduto?

La scuola è comunque andata avanti.

Le lezioni, fatta eccezione per le prime settimane del nuovo anno scolastico, sono proseguite attraverso la didattica a distanza.

Dirigenti, docenti e studenti hanno messo in campo, pur in mezzo a difficoltà evidenti, un grande impegno per non spezzare del tutto il filo della relazione educativa.

Non sono mancati in questi mesi, da parte del Governo nazionale e delle amministrazioni regionali e locali, annunci, promesse, piani presentati come risolutivi per poi essere smentiti nei fatti.

Sicuramente sono state impiegate delle risorse, ad esempio per gli arredi scolastici. Allo stesso tempo sono stati quasi del tutto trascurati i nodi chiave dei trasporti e dell’organizzazione dei test e del tracciamento per il Covid-19.

In «Lettera a una professoressa» don Lorenzo Milani, insieme ai suoi allievi, scriveva a proposito dei ragazzi più fragili: «Se si perde loro la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati».

Sono proprio i più fragili a continuare a perdersi. Lo confermano i dati di una recente ricerca, «I giovani ai tempi del coronavirus», realizzata da «Ipsos» per «Save the Children», in cui si rilevano l’aumento dell’abbandono scolastico e il calo nei livelli di apprendimento. 

Marta Cartabia, presidente emerita della Corte Costituzionale, in merito alle misure di contrasto alla pandemia, ha fatto notare come «ogni decisione che sacrifica un aspetto della vita personale e sociale a favore del libero svolgimento di altre attività esprime un ordine di priorità e delle scelte di valore. […] Verso i giovani portiamo un’enorme responsabilità» («Avvenire», 23 dicembre).

La scuola non crea «fatturato», ha un’altra «unità di misura»: la vita degli studenti, la loro crescita umana e culturale.

Limitare fortemente la vita scolastica può essere considerato un male minore?

Le difficoltà legate alla ripresa della didattica in presenza non sono trascurabili.

Tuttavia, senza dover attendere un impossibile «rischio zero», come ha ribadito più volte il Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Salute, si possono studiare delle modalità, concrete e graduali, per fare lezione in presenza e in sicurezza. Ciò è accaduto, ad esempio, in Toscana.

«La scuola – ha scritto in una lettera a “la Repubblica” Claudia, una liceale di Senigallia – dovrebbe coltivare le vocazioni e la curiosità, invece, è stata impoverita e privata dei mezzi necessari alla sua sopravvivenza, si è ridotta all’insegnamento di puro nozionismo. La situazione è molto delicata, ma la mia accorata richiesta è quella di mettere di nuovo al primo posto il luogo dove maturiamo, impariamo il sano confronto, sviluppiamo la nostra natura di esseri liberi».

Qualsiasi cosa si riuscirà a realizzare per la scuola nel 2021 dovrà partire dalle parole di Claudia, dai volti e dalle storie di tanti ragazzi come lei. Non dobbiamo tradirli ancora, non ce lo possiamo permettere.

Don Roberto Piredda

Direttore Ufficio diocesano di Pastorale scolastica

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