Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”.
Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”.
“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: “Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”».
Da questo numero sarà suor Francesca Diana, delle Figlie Eucaristiche di Cristo Re, a commentare il Vangelo. Grazie a don Walter Onano per il servizio reso in queste settimane.
Commento a cura di Francesca Diana
L’evangelista Matteo dopo il racconto del seminatore, propone lui solo, la parabola del grano e della zizzania offrendone il significato nei versi successivi.
La pericope mostra un dato fondamentale e imprescindibile con il quale facciamo i conti ogni giorno della nostra esistenza: bene e male coesistono, addirittura crescono insieme.
Siamo invitati non solo a lasciare che le due dimensioni convivano in noi stessi e negli altri, ma addirittura ad accoglierle con un atteggiamento di pazienza.
Il Signore educa il nostro sguardo.
Se gli occhi dei servi vedono le erbacce e si fissano sul male, lo sguardo del padrone, pur lucidamente cosciente del male seminato dal nemico, è catalizzato dal buon grano, illuminato dalla spiga avviata verso la pienezza.
Come nell’intera storia della salvezza, la zizzania esiste e fa parte della logica del Regno, benché sia difficile accettarla e non pensare alla sua eliminazione.
La tolleranza del Padrone tiene accanto tradimento e fiducia, abbandoni e ritorni senza alcuna soppressione: tutto è strettamente collegato ed è impossibile agire contro uno senza danneggiare l’altro, se si strappa l’erba cattiva si rischia di non far crescere e maturare il buon grano.
La maturazione è un processo lento e la fioritura del bene presente in ciascuno di noi, necessita dell’intera esistenza: «Noi nasciamo a metà – dice Maria Zambrano – tutta la vita ci serve a nascere del tutto».
Ecco perché è vitale educarsi nella pazienza innanzitutto verso se stessi, consapevoli d’essere creature sempre in divenire, talvolta incoerenti, ma custodi di un mistero divino e continuamente modellate dalla mano creatrice.
L’attendere, il vivere l’incompiutezza dell’umano è possibile unicamente quando si intuisce la grandezza del mistero che è ciascun uomo.
Nutrire misericordia verso se stessi significa alimentare la pazienza di iniziare percorsi, offrire nuove possibilità senza possedere soluzioni immediate, accettando di vivere contraddizioni e lotte tra bene e male, con l’unica certezza di seguire la Luce che sostiene e indica la direzione.
Non si tratta quindi di una qualità caratteriale, ma di una decisione da assumere per tentare di vivere come il Maestro: coscienti dell’infinita benevolenza ricevuta dal Padre, decidiamo d’essere indulgenti con gli altri attendendo il tempo di ciascuno.
«Natura non facit saltus», dicevano i filosofi, per ricordarci che la legge naturale procede per gradi e osserva i suoi tempi e così il contadino diventa nostro maestro.
Aspetta il momento della maturazione, la stagione adatta per ogni frutto, perché ciascuno diventi carnoso e saporito.
Chi si prende cura della terra come dei cuori, sostiene ogni genere di fatica, mosso dalla lungimiranza, dall’occhio esperto nello scorgere le piccole gemme e intravvedere potenzialità laddove appare lentezza e aridità.
La cura e l’amore ricevuto dal Signore e da chi nella vita abbiamo avuto grazia di incontrare, apre al rispetto verso l’unicità dell’altro, permettendo a ciascuno di essere se stesso, autentico, diverso da me e da come lo immagino o desidero.
Non siamo, quindi, chiamati ad essere una comunità di persone perfette che «purificano» secondo il proprio giudizio, ma ad attendere il tempo della mietitura operata dal Signore della storia che ha un criterio differente dal nostro.
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme.
© Copyright Il Portico