L’antidoto al terrore? La quotidianità
La paura non deve modificare il desiderio di vivere in pace e in libertà. Potrebbe essere questa la sintesi del sentire comune in Gran Bretagna, soprattutto a Londra, a oltre una settimana dall’attacco terroristico messo in atto da un «lupo solitario» anglosassone. In questo caso nessun collegamento diretto con il mondo islamico ma un cittadino britannico radicalizzatosi in carcere, e la cui azione è stata rivendicata dal sedicente Stato Islamico.
In realtà, come dice il califfo Hazrat Mirza Masroor, 65enne pakistano, guida dei musulmani ahmadi nella moschea Baitul Futuh, zona sud di Londra, quanto professato dai seguaci dell’Isis è «il tradimento e l’ignoranza della fede di Maometto». La versione bellicista del jihad coranico è per Masroor «una semplificazione strumentale e perfino volgare di un concetto che è di natura eminentemente spirituale e appartiene alla sfera della “riforma interiore”».
L’attacco terroristico ha avuto impatto su tutta la nazione, britannici e non, in particolare sui londinesi. L’attentato è stato respinto con forza da tutta l’opinione pubblica ma, come dice don Antonio Serra, cappellano degli italiani a Londra, «la migliore risposta al terrorismo da parte dei britannici è stata la normalità, la quotidianità. Gli inglesi hanno assorbito l’impatto dell’attentato e già dal giorno dopo tutti, parlamentari compresi, hanno ripreso la loro attività ordinaria». Il pragmatismo anglosassone, lontano dagli isterismi latini, ha avuto il sopravvento su quanto si è verificato nei giorni scorsi. « La comunità cattolica italiana — dice ancora don Antonio — si è stretta in preghiera in questa occasione, mentre il Primo Ministro May ha riaffermato la superiorità della democrazia e ha dichiarato che il terrorismo non prevarrà mai sui valori democratici».
In linea di massima chi vive a Londra si sente al sicuro: sia l’intelligence sia Scotland Yard hanno sventato numerosi tentativi di attentato in questi mesi scorsi. Stavolta l’attacco ha avuto successo perché è stato il gesto isolato di uno psicopatico, come lo ha definito la sua prima moglie, mentre la madre ha dichiarato alla Bbc di «piangere per le vittime dell’atto terroristico compiuto da suo figlio».
«Noi abitanti di Londra — afferma ancora don Serra — sappiamo bene di essere nel mirino del terrorismo. Con questa idea ci conviviamo ogni giorno e ci aspettavamo una cosa del genere da un giorno all’altro, ma capiamo bene che nessuno può prevedere dove e quando qualcuno potrà colpire, così come siamo certi di essere in mano sicure e per questo la vita continua».
Lo testimoniano le ragazze del liceo «Dettori» di Cagliari, accompagnate da don Roberto Piredda in viaggio d’istruzione nella capitale britannica. Sono loro stesse a raccontare come la vita della città sia proseguita senza isterismi, con i londinesi consci che il miglior modo per disarmare il terrorismo è la difesa a tutti a costi della quotidianità.
C’è un ulteriore suggerimento che arriva dalla capitale del Regno Unito. Secondo Frank Johnson, giornalista che vive e lavora a Londra, l’eccessiva esposizione mediatica degli attentati farebbe il gioco dei terroristi, offrendo loro pubblicità gratuita. «Questo — scrive — rende più probabile la ripetizione delle atrocità, perché i media le hanno rese non solo una maniera molto efficace di propagandare una filosofia distorta, ma anche di diffondere la paura e il pregiudizio che alimentano il conflitto da cui il terrorismo dipende».
Per cui bene venga la volontà di stigmatizzare i fatti ma senza eccessiva enfasi, con un atteggiamento pragmatico che gli inglesi hanno mostrato a tutto il mondo.
Di pari passo però occorre una svolta epocale nelle storie dei conflitti ancora in essere nel mondo, a partire dal Medio Oriente.
Roberto Comparetti
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