La scuola sia un luogo di relazioni educative Oltre ai problemi energie positive sono presenti nel mondo scolastico
«Ho fatto in tempo ad avere un futuro che non fosse soltanto per me. Ho fatto in tempo a perdere tempo in cambio di un sogno, di un pezzo di idea».
I semplici versi di una canzone di Ligabue possono aiutare a cogliere l’orizzonte dentro il quale prende vita il nuovo anno scolastico. Troppe volte – anche se le difficoltà non sono da sottovalutare – nel parlare comune e nei media, il tema «scuola» viene associato soltanto a termini come problema, caos, conflitto e così via. A ben guardare, invece, la scuola italiana, quella reale e «quotidiana», è davvero «in tempo ad avere un futuro» se spende le sue migliori energie per dedicarsi a ciò che è davvero essenziale: la relazione educativa.
Perché non prevalgano una grigia mentalità burocratica e un’efficienza formale, fatta solo di numeri e prestazioni, bisogna coltivare una capacità di «sguardo» e «perdere tempo» con le domande, i desideri, le idee, che riempiono le vite dei giovanissimi, prossimi al ritorno tra i banchi di scuola. Non c’è una «scuola» astratta, esistono le persone concrete che la animano. Per fare scuola è necessario sempre partire dai nomi, dai volti, dalle storie, delle persone che si hanno davanti ogni giorno. Ogni ragazzo ha il diritto, per riprendere l’incisiva definizione di educazione di Jungmann, a essere introdotto alla «realtà totale» e, in questa maniera, alla conoscenza di sé e del mondo, in modo da poter scoprire e far maturare i propri talenti. Solo così si potrà dare un’anima al complesso processo di riforma della scuola, superando blocchi ideologici e sterili antagonismi.
In tale prospettiva, che mette al centro dell’opera formativa il primato della persona, il nuovo anno scolastico può trovare ispirazione nella testimonianza di quel vero maestro dell’educazione che è stato don Lorenzo Milani, del quale ricorrono i cinquant’anni dalla morte.
Di recente papa Francesco ha messo in evidenza due aspetti dell’esperienza educativa del priore di Barbiana: l’amore appassionato per i più giovani, specie per quelli considerati «ultimi», e lo spirito di servizio disinteressato nel portare avanti il compito educativo.
«La sua – ha sottolineato il Santo Padre – era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati» (videomessaggio, 23 aprile 2017).
Essere educatore non è un «mestiere» come un altro, esige una vera «vocazione» che conduce a una missione insostituibile per la crescita dei ragazzi e dell’intera società. Durante la sua visita a Barbiana, lo scorso 20 giugno, il Papa, rivolgendosi idealmente a tutti gli educatori, ha posto in evidenza questo aspetto: «La vostra è una missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. Una missione di amore, perché non si può insegnare senza amare e senza la consapevolezza che ciò che si dona è solo un diritto che si riconosce, quello di imparare. E da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune».
Dare ai più giovani, di qualsiasi condizione, la «parola», intesa come capacità di comprensione di sé e della realtà, è stata la sfida di don Milani. Ancora oggi la scuola è chiamata a lavorare per questo. Ne va del presente e del futuro dei ragazzi.
Roberto Piredda
Direttore Ufficio diocesano di pastorale scolastica
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