La fede donata e la responsabilità di dare risposte credibili Le proposte dopo il Convegno delle equipe diocesane di catechesi
«A-tratti verso la formazione». È stato questo il titolo del percorso proposto dall’Ufficio catechistico nazionale, che si è tenuto dal 17 al 19 novembre a Roma, con l’obiettivo di sperimentare il lavoro d’equipe e riappropriarsi di consapevolezza e strumenti per l’educazione nella catechesi e al quale ha partecipato una significativa rappresentanza delle diocesi sarde: da Cagliari a Iglesias, da Oristano ad Alghero. Giorni intensi, belli, semplici, ricchi, profondi, occasione di riflessione e condivisione.
Ma cosa attraversa ogni azione formativa? Cinque passi accompagnati da parole chiave come catechesi, catecumenato, liturgia, accompagnamento, educazione, eucarestia, formazione, mistagogia, umanesimo, disabilità e molte altre, hanno portato i circa 200 partecipanti a delineare le caratteristiche salienti della formazione d’equipe in tutti i suoi aspetti. Partire dalle nostre storie per poi passare dall’Io al Noi, tracciare così quel filo d’oro che ci ha portati, nell’oggi, ad acquisire uno stile formativo personale che genera una idea di fede, di Chiesa, di catechesi, attualizzata nel mondo contemporaneo che altro non è che rispondere ad una chiamata: essere suoi discepoli.
Si delinea, in questo modo, un cammino quotidiano, concreto, che nasce dall’esigenza di sentirsi vivi, di comunicare, di andare, di accorgersi dell’altro che ci passa accanto, della sofferenza che lo accompagna, ma anche di guardare a Gesù, alla novità pedagogica che porta: non chiede di essere imitato, ma di essere seguito, di camminare con Lui nella stessa direzione.
Quale il bagaglio di questo percorso? Sono tutte quelle qualità umane e spirituali delle quali ciascuno di noi è portatore e che sono necessarie per tracciare il sentiero. Un cammino che conosce momenti di slancio ed entusiasmo, ma anche di stanchezza e disorientamento (la tempesta) ma è necessario avere sempre il coraggio di passare nell’altra riva, di contare sull’amore infinito di Dio e riconoscere in tutte le difficoltà che incontriamo un nuovo volto di Gesù.
Ripercorrere i tratti formativi e lasciarci sorprendere da tutto ciò che non avevamo più in mente e andare a educare consapevoli del fatto che questa è una delle arti più faticose che l’uomo conosca: «condurre l’uomo al suo bene». Per questo abbiamo la responsabilità di dare risposte che siano credibili e convincenti, di guardare all’altro con interesse consapevoli del fatto che l’educando sta sempre al centro. Il ruolo di tutte le persone coinvolte è quello di «aiutare ad apprendere» e «apprendere insieme» tenendo conto delle esigenze, potenzialità, fragilità, risorse del singolo e del territorio nel quale questo è inserito e certi sempre del fatto che nell’altro Dio ha messo un dono per noi.
Consapevolezza che la fede è data, non è un dato. E va dunque certamente ri-modulata, ri-pensata, ri-scoperta, ri-sognata, ri-centrata, ri-vissuta perché la vita continui a essere rigenerativa. Accompagnare quindi, concentrandosi su ciò che è più bello, più attraente, più necessario, rispettando i tempi di crescita delle persone che abbiamo affidate.
Monia Unali
© Copyright Il Portico