Italiani «sonnambuli» e individualisti
L’analisi del rapporto Censis fotografa un Paese che sembra non pensare al futuro
Italiani «sonnambuli» e individualisti.
Un quadro a tinte fosche.
È quello dipinto dal Censis nel suo Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese.
Italiani «sonnambuli» e individualisti.
Quattro gli atteggiamenti che l’Italia e i suoi abitanti sembrano mettere in mostra prioritariamente: l’essere «sonnambuli», individualisti, ciechi di fronte ai presagi e dispersi in mille scie divergenti.
Un Paese che, a detta del Censis, pare essere caduto nel sonno profondo del calcolo raziocinante, utilizzato per affrontare dinamiche, i cui esiti rischiano di essere funesti.
Uno dei peggiori elementi che emerge dal rapporto è quello relativo alla demografia futura del nostro Paese.
Secondo il report, nel 2040 le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare il 25,8% del totale e le famiglie composte da una sola persona aumenteranno fino a 9,7 milioni (il 37%).
Inoltre nel giro di neanche 20 anni il 60% (5,6 milioni) delle famiglie italiane sarà costituito da anziani.
Secondo le stime, nel 2040 il 10,3% degli anziani continuerà ad avere problemi di disabilità: una categoria, quella degli anziani, che oggi rappresenta il 24,1% della popolazione complessiva e che nel 2050 crescerà ancora di 4,6 milioni, fino a raggiunge il 34,5% sul totale dei residenti.
Saranno però anziani sempre più soli e sempre più senza figli.
Dalla crisi demografica nascono poi ripercussioni sul sistema produttivo e sulla capacità di generare valore, considerando che nel 2050 saranno quasi 8 milioni in meno le persone in età attiva e 4,5 milioni i residenti perduti.
Questa sorta di immobilismo, a detta dei curatori del rapporto, non è imputabile solo alle classi dirigenti ma è un fenomeno diffuso nella maggioranza silenziosa degli italiani, che si sentono più fragili, feriti da un profondo senso di impotenza e di insicurezza, delusi dalla globalizzazione.
C’è un altro elemento che preoccupa ed è l’incapacità a fare sistema. «Il nostro Paese – si legge nel rapporto – ha costruito in decenni il proprio meccanismo di vita sociale preferendo lo sciame allo schema, l’arrangiamento istintivo al disegno razionale. Uno sciame che però oggi appare disperdersi, distaccando dietro di sé mille scie divergenti».
Ne consegue quindi che il nostro è sì il Paese delle mille meraviglie, se ammirato dall’alto delle lussuose terrazze cittadine, degli strapiombi sul mare, delle colline e delle cime più elevate, ma se visto dal basso è possibile notare quanto sia invischiato in tutte le sue arretratezze.
Il macro quadro nazionale va poi declinato nelle diverse regioni, compresa la Sardegna.
Qui da noi sono migliaia le persone che hanno lasciato l’Isola in cerca di nuove prospettive in altre zone del mondo.
Si tratta per lo più di giovani, altamente formati che non trovano un’occupazione stabile, in grado di trattenerli.
Un tesoro che ogni anno si depaupera, con centinaia di ragazzi e ragazze in partenza per specializzarsi o cercare lavoro e che, nella stragrande maggioranza dei casi, non ritornerà sull’Isola, se non per le vacanze o dopo molti anni di permanenza in altri lidi.
Di tutto questo non c’è traccia nel dibattito pubblico: i noiosissimi salotti televisivi hanno altro di cui discutere, troppo attenti all’effimero e lontani dai problemi di chi, come imprese e famiglie, deve quotidianamente far quadrare i conti.
Roberto Comparetti
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