Il referendum e la partecipazione
Domenica 17 aprile saremo chiamati alle urne per votare il referendum con il quale si chiede di abrogare o meno la norma introdotta con l’ultima «Legge di Stabilità», che consente alle società petrolifere la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalla costa, sino all’esaurimento del giacimento.
Su questa materia la Conferenza episcopale italiana ha dato un’indicazione precisa al termine dell’ultimo Consiglio permanente, tenutosi nello scorso mese di marzo.
I vescovi si sono confrontati sulla questione ambientale «e – si legge nel comunicato finale – in particolare, sulla tematica delle trivelle, concordando circa l’importanza che essa sia dibattuta nelle comunità per favorirne una soluzione appropriata alla luce dell’enciclica “Laudato sì” di papa Francesco».
L’intento è chiaro: far sì che tutte le comunità cristiane approfondiscano il tema, per comprendere bene quali siano i termini della questione sulla quale siamo chiamati a decidere.
Lo stesso segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ha affermato che «non c’è un sì o un no da parte dei vescovi al referendum», ha spiegato Galantino, sottolineando però che «il tema è interessante e che occorre porvi molta attenzione».
«Gli slogan non funzionano – ha aggiunto il segretario generale della Cei – e bisogna piuttosto coinvolgere la gente a interessarsi alla questione. Il punto, quindi, non è dichiararsi pro o contro alle trivelle, ma l’invito a creare spazi di incontro, di confronto».
Nella pagina successiva diamo conto delle ragioni di chi dice sì all’abrogazione e di chi invece dice no. I primi (tra i quali anche nove Consigli regionali, compreso anche quello sardo), temono che l’attività delle trivelle possa determinare un peggioramento delle condizioni ambientali, con possibili danni al territorio e al turismo, i secondi invece dicono no, perché lo stop immediato alle attività delle trivelle provocherebbe solo problemi occupazionali ed economici, senza avere certezza sulla salvaguardia ambientale.
Voteremo nella sola giornata di domenica 17 aprile e questo ha suscitato non poche polemiche, vista la possibilità dell’abbinamento con le prossime elezioni amministrative. Una decisione, quella presa dal Governo, che di fatto costa alle casse pubbliche oltre 300 milioni di euro e, in tempi di vacche magre, sarebbe stato forse più saggio unificare la consultazione.
Tra i fautori del sì questa decisione del Governo è stata vista come un tentativo di favorire l’astensionismo, mentre chi è per il no all’abolizione ha bollato la consultazione un inutile spreco di fondi.
L’istituto referendario è generalmente impopolare, e statisticamente non ha provocato grandi sconvolgimenti. A ottobre è previsto un nuovo referendum, quello confermativo della riforma costituzionale voluta dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi (valido anche senza quorum).
Nel nostro Paese i referendum hanno solo valenza abrogativa, mentre in altri, come la vicina Svizzera, i cittadini sono spesso chiamati direttamente a decidere su materie molto contingenti.
Un ulteriore segno della distanza tutta italiana tra Istituzioni e cittadini, che deve essere necessariamente colmata con una costante partecipazione alle urne, elezioni o referendum che sia, ma soprattutto con l’impegno alla cittadinanza attiva.
Roberto Comparetti
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