Il Crocifisso prende su di sé il nostro dolore per farlo suo Riflessioni sulla condizione che ciascuno di noi vive

Da dove iniziare…? Dal fatto che non avrei mai pensato di conoscere nella mia vita ciò che ho studiato nei libri di storia e ciò che avevo solo immaginato leggendo i «Promessi Sposi» nelle pagine della famosa peste di Milano?

Dal fatto che dal 9 marzo, alla celebrazione della Messa, manca completamente – e credetemi si sente (!) –  la presenza della comunità, se non quella che siamo riusciti a creare attraverso social e le attuali possibilità della rete?

Dal fatto che i numeri e le conseguenze di signor Covid-19 stanno assumendo una portata estremamente preoccupante e non immediatamente riscontrabile?

Dal fatto che, anche come Chiesa, con creatività, ci stiamo inventando di tutto pur di non sfilacciare il tessuto di relazioni e contatti con le nostre comunità, facendo loro sentire il calore della nostra vicinanza?

Dal fatto che restrizioni e disagi stanno incidendo drasticamente sulle nostre abitudini, sulla grande e piccola economia, a partire da quella delle nostre famiglie, chiamate a confrontarsi con il lavoro che viene interrotto, gli esercizi commerciali che devono chiudere e  le inedite emergenze da affrontare, insieme alle scadenze da adempiere in ogni caso?

Dal fatto che ragazzi e giovani sono chiusi in casa – e lì dovete rimanere (!)-  utilizzando anche per la formazione scolastica l’ausilio di chat e classroom virtuali, con inevitabili incognite rispetto alla conclusione dell’anno, gli esami di maturità e quelli universitari, il loro futuro?

Dal fatto che in tanti, anche anziani, incuranti dell’emergenza e del pericolo di tante scelte, continuano a fare la vita di sempre, mettendosi e mettendo a repentaglio la salute dell’intera comunità?

Dal fatto che, chiuse anche le nostre realtà di carità e servizio per le direttive ministeriali e per precauzione rispetto ai volontari e a chi ad esse si rivolge, comunque ci ritroviamo a far fronte alle già inconsistenti possibilità di tante famiglie che, anche in questi giorni, continuano a ricevere da noi aiuto, sostegno e concreta vicinanza con la giusta distanza?

Dal pensiero ricorrente per i malati ed gli anziani che settimanalmente vengono raggiunti dai ministri dell’eucarestia della nostra parrocchia e dalla visita periodica del sacerdote e che, giustamente, in questi giorni di blocco, aggiungono alla loro sofferenza anche la privazione dell’incontro sacramentale con il Signore?

Dalla solitudine di tanti anziani o di persone vedove, con i figli lontani o, se vicini, impediti a prendersi cura di loro, fosse solo per il disbrigo di necessarie e quotidiane  commissioni? 

Della sofferenza di tanti cristiani che quotidianamente, da tempo, hanno scoperto l’importanza della Messa quotidiana e il dono dell’Eucarestia, e che vivono la privazione di questo tempo con smarrimento, confusione e tristezza?

Dal racconto eroico e dalla stima, colma di gratitudine, per tutti gli operatori sanitari che, con il solco della mascherina appiccata in volto da settimane intense, cercano di alleviare, di combattere, di fare la loro parte per  salvare uomini e donne nella loro lotta?

Dallo spirito di collaborazione che ci viene chiesto per adeguarci, responsabilmente, alle norme dei decreti che, a livello sociale che ecclesiastico, non senza combattimento e dramma di coscienza, stanno piano piano riducendoci possibilità d’incontro e contatto, per far crescere sempre più sicurezza e certezza che…andrà tutto bene, sul serio?

Da dove iniziare?

Tutto oggi rappresenta motivo di preoccupazione, di sofferenza, di ansia.

È vero, è giusto sia così, realmente lo scenario è questo.

Eppure anche in questo frangente, io inizio sempre dallo stesso punto, e da li non mi muovo: da Dio e dalla fiducia in Lui! Dalla consapevolezza che la Croce è piantata tra le corsie dei nostri ospedali, nell’ingorgo delle camere mortuarie, tra le mura affollate, come non mai, delle nostre case, tra i banchi vuoti delle nostre chiese e tra la distanza di un metro che oggi opportunamente ci separa l’uno dall’altro.

È piantata lì e come sempre il Crocifisso prende su di sé il nostro dolore ma  anche il nostro anelito di vita, di speranza, di luce.

Fa la sua parte: invisibile, impercettibile per le logiche umane, parzialmente ignota alla scienza che si spende per trovare soluzioni.

La sua/Sua parte prende i contorni dell’Amore che circola, della speranza che non si affievolisce, della forza che sorregge chi sente su di sé il carico e la responsabilità del troppo di questa storia, della telefonata amica che lenisce la solitudine e dello schermo di un telefono da cui ci giunge la «Parola di Vita»e il colore di uno spazio amico in cui si celebra l’Eucarestia.

Da quella Croce ci ripete: «Mi faccio da parte per Te; prendo su di il Tuo e lo trasformo, nel dono di me, in Amore»

Acciaccati, con qualcuno in meno, lacerati, frastornati, speriamo in salute, alla fine di tutti questi giorni, sicuramente settimane, tra le mani, sempre che lo vogliamo, ci ritroveremo un solo, grande ed unico tesoro: un Amore più grande!

Don Emanuele Mameli

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico