Gran Bretagna e Brexit: da grande visione ad allucinazione Cresce la confusione in Gran Bretagna per l'uscita dall'Unione Europea

Guidati dalla vena utopica della canzone di John Lennon «Imagine», un giorno i britannici contemporanei hanno iniziato ad usare la loro immaginazione: immagina se un Paese come il nostro anziché pagare milioni di sterline ad una Europa fannullona potesse utilizzare quei soldi per migliorare il suo disastroso sistema sanitario; se anziché essere soggetta al controllo di un potere esterno potesse determinare il proprio destino senza dover rendere conto a nessuno; immagina un Paese senza stranieri che portano via lavoro ai legittimi cittadini; immagina un Impero che ha il potere di stipulare indipendentemente e vantaggiosamente contratti commerciali con il resto del mondo … Immagina…

Alimentato da straordinaria visione, il 23 giugno 2016, il popolo britannico è stato chiamato alle urne per decidere se restare o lasciare l’Unione Europea.

La vittoria risicata dei favorevoli all’uscita – che con la fusione di «Britain» e «exit» ha preso il nome di «Brexit» – con un risicato 51,9%, ha fatto sì che il Governo britannico, il 29 marzo del 2017, iniziasse il ritiro formale dall’Europa, che sarebbe dovuto diventare definitivo dopo un periodo due anni di negoziazioni, ossia il 29 marzo scorso.

Scrivere qualcosa di chiaro sulla «Brexit» è praticamente impossibile.

Quella che inizialmente era una grande visione si è trasformata infatti progressivamente in una pericolosa e irrealizzabile allucinazione, che sta portando un intero Paese verso il baratro.

In due anni il Governo, rappresentato dal primo ministro dei Conservatori Theresa May, ha messo in atto innumerevoli tentativi per un abbandono pacifico della Unione Europea.

La May, per ben due volte, e a giorni si accinge a farlo per la terza volta, ha presentato la proposta di un accordo, «deal» per abbandonare l’Unione Europea «in a smooth and ordinary manner», «in un modo soffice e ordinario».

Il suo accordo presenta lo svantaggio di mantenere la Gran Bretagna sotto molti aspetti sottomessa al Governo Europeo, ma con il vantaggio di preservare i benefici di restare nel mercato unico e di non mettere in pericolo posti di lavoro.

Il parlamento considera una farsa il «deal» proposto dalla May e per questo, a larga maggioranza – includendo anche un ampio numero di conservatori – ha fermamente respinto la sua proposta.

Nonostante i gravi problemi di leadership, il Primo Ministro continua a restare al suo posto, sperando che la terza volta, pur non avendo sostanzialmente cambiato il testo, che la sua proposta venga accolta dalla House of Commons, dal Parlamento Britannico.

È molto probabile che la sua proposta venga respinta per l’ennesima volta, ma il vero dramma è che nessuno è stato capace sinora di offrire alternative valide e con una significativa maggioranza che le condivida.

Il Parlamento Europeo sta a guardare e lascia che la partita si giochi interamente entro le mura di quello Britannico. L’unica concessione è stata quella di posporre l’uscita qualche settimana dopo rispetto al 29 marzo: il 22 maggio se il Parlamento raggiunge un accordo, il 12 aprile se non lo raggiunge. Il rischio di una uscita senza accordo – «no deal» – è un pericolo che in tanti vorrebbero scampare.

Senza un accordo amichevole con l’Unione Europea, infatti, la Gran Bretagna si troverebbe a dover pagare le tariffe doganali per le merci importate dall’Europa e a rinegoziare tutti gli accordi commerciali; il milione e trecento mila britannici che vivono in Europa e i tre milioni e settecento mila europei che vivono in Gran Bretagna si troverebbero in una posizione di vita e lavorativa da ridefinire, con controlli più rigorosi alle frontiere da entrambi i lati.

Una volta fuori dalla UE il Parlamento Europeo dovrebbe rivedere tutte le leggi approvate in sede Comunitaria e fare in modo che non si creino vuoti legislativi.

Da un punto di vista economico la Gran Bretagna non dovrebbe pagare alla UE il suo contributo di 13 milioni di sterline ma perderebbe anche tutti i finanziamenti europei. Rimarrebbe irrisolto il delicatissimo problema del confine tra Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda.

Qual è l’impatto di tutto questo sui cittadini Britannici e sui cittadini europei che lavorano in Gran Bretagna? Come ha dichiarato il «The Guardian»: «People are standing in the cliff edge», le persone aspettano sull’orlo di un baratro.

Tutto concentrato sui problemi della «Brexit», il Governo si è dimenticato dei problemi della gente.

La sanità è allo sfascio, la criminalità, soprattutto giovanile, è a livelli impressionanti, molte aziende locali stanno chiudendo i battenti mentre quelle internazionali stanno trasferendo le loro strutture in Europa, il valore della sterlina sta precipitando e la tensione sociale, soprattutto l’intolleranza verso gli stranieri, si sta facendo sempre più stringente.

Dopo cinquanta anni, ancora tra l’immaginazione e la realtà c’è una bella differenza.

I britannici se ne sono ormai accorti. Saranno ora disposti a pagarne il prezzo?

Antonio Serra

Coordinatore dei Cappellani Missione Cattolica Italiana in Inghilterra e Galles

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