I giovani devono imparare a essere protagonisti dell’azione pastorale La formazione
Aprile, da ormai cinque anni, è un periodo di lavoro intenso per la pastorale giovanile. È il mese dedicato ai campi scuola. La formazione rappresenta, infatti, il compito più importante dell’Ufficio diocesano. La pastorale giovanile non è chiamata a gestire o guidare le attività che si svolgono nelle parrocchie o nelle foranie ma, attraverso le sue proposte, cerca di offrire spunti di riflessione e lavoro, percorsi di maturazione dove i ragazzi e i giovani possano condividere con i loro coetanei momenti di crescita, occasioni per contagiarsi passione ed entusiasmo. I giovani devono imparare a essere protagonisti dell’azione pastorale e non semplici destinatari di riunioni, incontro o eventi.
Lo ha ricordato anche papa Francesco sabato scorso a santa Maria Maggiore durante la veglia celebrata alla vigilia della Giornata mondiale della gioventù: «Ricordiamo un po’ Cracovia; la Croce ce lo ricorda. Lì ho detto due cose, forse qualcuno ricorda: è brutto vedere un giovane che va in pensione a 20 anni, è brutto; e anche è brutto vedere un giovane che vive sul divano. Non è vero? Né giovani “in pensione”, né giovani “da divano”. Giovani che camminino, giovani di strada, giovani che vadano avanti, uno accanto all’altro, ma guardando il futuro».
Investire nella formazione significa seminare nella vita dei nostri ragazzi il desiderio di sevizio, di partecipare alla vita della parrocchia, contribuire con le loro energie alla missione evangelizzatrice della comunità.
I campi di quest’anno approfondiranno il tema dello stile dell’animatore, degli strumenti più importanti del suo servizio e del metodo che è chiamato a incarnare.
Parlare di stile significa parlare innanzitutto di un segno o di un’impronta che lasciamo nel nostro agire. Queste impronte hanno delle radici profonde. Altri hanno lasciato un segno nella nostra vita, ci hanno insegnato, tramandato qualcosa e ci hanno dato la possibilità di crescere e maturare. Il nostro stile ha subito una crescita profonda quando abbiamo capito che lasciamo un segno ancora più forte quando c’è coerenza tra quello che diciamo e quello che facciamo. Parlare di stile ai nostri ragazzi significa innanzitutto insegnare che l’animatore fa perché lui per primo è discepolo. Affrontare il tema degli strumenti significa invece parlare dell’animatore e di ciò che si mette a fare. Nel suo fare sviluppa abilità di base: la parola per comunicare, gli occhi e le orecchie per guardare e sentire coloro che gli sono stati affidati, il cuore per costruire relazioni significative, un corpo per giocare e interagire con chi deve guidare. Il termine «metodo» ci rimanda al concetto di «procedura» e di «ordine».
Per svolgere una attività o un lavoro occorre avere quelle conoscenze che ci aiutano a muovere i passi e a procedere nel nostro compito. Ai ragazzi verranno presentati gli elementi che formano un progetto educativo e gli ingredienti fondamentali del Cre. Avere metodo nel campo organizzativo della vita dell’oratorio (il progetto educativo) e dell’esperienza ricreativa estiva darà la possibilità di conoscere i diversi passaggi da compiere nel servizio di animazione in oratorio.
Alberto Pistolesi
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