I genitori e il compito urgente dell’educazione Gli episodi di cronaca richiamano alle loro responsabilità gli adulti
Era il 21 gennaio del 2008 quando, Benedetto XVI, inviava alla diocesi e alla città di Roma una lettera dal titolo «Il compito urgente dell’educazione». Nel testo il Papa, oggi emerito, scriveva: «Educare non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, scaricare la responsabilità alle nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato. Si parla di “frattura fra le generazioni”, che certamente esiste e pesa, effetto piuttosto che causa della mancata trasmissione di certezze e di valori».
A distanza di dieci anni, alla luce degli episodi evidenziati dalla cronaca nelle ultime settimane, quelle parole sono di stretta attualità: alunni minacciano o usano violenza sugli insegnanti, genitori che, invece di concorrere con la scuola alla crescita dei propri figli, alzano le mani e denunciano i docenti per intimorirli.
Si è generata una frattura che si sta sempre più acuendo: è saltata la rete tra le agenzie educative. Scuola, famiglia e altre aggregazioni, come parrocchie e società sportive, stentano a svolgere il loro ruolo.
Si tende sempre più a delegare agli esperti in materia (catechismo, sport, scuola) in attesa che qualcuno faccia la parte dell’altro, piuttosto che provare a programmare e ripensarsi insieme per il bene dei ragazzi.
Un proverbio africano ricorda che: «Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio»: un’indicazione alla quale si dovrebbe sempre far riferimento quando si parla di questioni educative.
«Sia tra i genitori – scriveva ancora Benedetto XVI – che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, c’è la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita».
Lo scrittore Alessandro D’Avenia lunedì scorso sulle pagine del «Corriere della Sera», commentando il clamore mediatico sugli episodi legati alla scuola, ha denunciato come per anni sia stata erosa «la credibilità dell’autorità, eliminando dalla cultura ogni elemento verticale, ogni criterio guida, sostituendo la validità di un’eredità, sempre e comunque da vagliare e rinnovare, con un’effimera immaginazione al potere. L’autorità viene dalla verità di un’esperienza da trasmettere perché vissuta e valida ma, in assenza di adulti che incarnano ciò che pretendono e in mancanza di proposte di senso credibili, narrazioni e identità diventano tutte provvisorie».
Per gli alunni, colpevoli di episodi di violenza ai danni degli insegnanti, si procederà probabilmente con sospensione e bocciatura: una misura estrema, forse inutile.
Don Bosco, nelle sue sette raccomandazioni educative, definiva la punizione una «estrema ratio». Nei casi registrati dalla cronaca andrebbero perseguiti anche i genitori degli studenti, per aver abdicato al proprio compito di primi educatori dei loro figli.
Roberto Comparetti
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