«Dio non è dei morti, ma dei viventi», disse Gesù

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

foto SIR/Marco Calvarese

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”.

C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.

Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.

Da ultimo morì anche la donna.

La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

(Lc 20,27-38)

Da questo numero sarà don Enrico Murgia, parroco di San Pietro Pascasio a Quartucciu, a commentare il Vangelo. Grazie a don Carlo Rotondo per il servizio reso nel corso dell’Ottobre missionario.

Commento a cura di Enrico Murgia

Un invito a risorgere, ma in comunione.

Così, a pochi giorni dalla Solennità dei Santi e dalla Commemorazione dei Defunti, si torna a parlare della vita dopo la morte.

Ancora una volta la Parola di Dio invita a coltivare la speranza, man mano che procede il nostro pellegrinaggio terreno.

Desideriamo avere i piedi ben piantati, cercando con le parole di Paolo, le cose di lassù, distogliendo l’attenzione da tutto ciò che si oppone alla piena comunione con Dio.

Non l’astrattezza, la fuga o l’alienazione, quanto piuttosto ragioni di speranza dentro il tempo che viviamo, perché esiste una beatitudine già in questa vita.

Siamo provocati a trasformare radicalmente il sistema in cui viviamo secondo l’ottica del Regno perché le cose di lassù, riguardano il Vangelo incarnato già in questo mondo, la presenza di Cristo già presente seppure visibile indirettamente.

Vivere la concretezza, la fedeltà e la radicalità nell’oggi non contrasta con la speranza di raggiungere l’obiettivo finale nonostante: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor 13, 12).

Accogli giorno dopo giorno l’azione di Dio in noi e nella storia.

Se rifiutiamo di accogliere il dono di Dio impediamo lo sviluppo della vita.

La storia umana è fatta dalle scelte che gli uomini compiono, che non sono chiuse in sé.

Noi siamo tempo.

Essere tempo vuol dire che nessuna azione che noi compiamo è chiusa in sé stessa, ma riflette un passato e prepara un futuro.

Vuol dire che noi accogliamo la forza della vita a piccole dosi, a piccoli frammenti, ma dobbiamo conservarli, interiorizzarli, per poter accogliere poi doni futuri e poter sviluppare tutta la ricchezza contenuta nelle dinamiche creatrici.

Se noi non accogliamo il dono, è chiaro che prevale la morte e c’è distruzione.

Dunque, ci dice il Vangelo «quelli che risorgono non prendono né moglie né marito».

Gesù non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore.

Anzi, l’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è l’amore (1 Cor 13,8).

Anche noi, in questa stagione di Chiesa possiamo scegliere di vivere da risorti, comprendendo la portata di queste parole; «vivere», come dice il padre Ermes, «la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio.

E ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore».

È interessante questo Gesù.

Proprio nella sua riposta, capiamo insieme che non possiamo vivere per noi stessi. «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Chi lo cerca e vive in comunione con Lui, è e sarà vivo per sempre!

Quanta differenza nelle famiglie, nei fidanzamenti, nelle amicizie, nel cuore dove c’è il Signore e dove invece non c’è!

E ricordiamo: chi ha una ragione per morire, ha anche una ragione per vivere!

Gesù dunque ci interpella sulle motivazioni del nostro vivere: per chi e per che cosa vivo io qui ed ora?

Qual è la mia meta?

Lo capirò camminando, se sarò capace di amare e di essere amato.

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