Amatevi gli uni gli altri: il comandamento nuovo V Domenica del Tempo di Pasqua (Anno C)
Dal Vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui.
Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Commento a cura di Fabrizio Demelas
Il brano che leggiamo in questa domenica si trova al termine del racconto della cena secondo il vangelo di Giovanni. Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi, non si preoccupa soltanto di raccomandare che i discepoli facciano altrettanto, ma, conoscendo fino in fondo i limiti delle persone che aveva di fronte, inizia per loro un lunghissimo discorso.
È chiara la sua preoccupazione: Gesù vuole indicare la strada di un radicale cambiamento di mentalità, qualcosa di più e di diverso da una “conversione”: il vero discepolo, quello capace di lavare i piedi agli altri, sarà il discepolo educato dal comandamento dell’amore, cresciuto nella sequela, inserito nella dinamica di amore di Dio stesso e, per questo, riconciliato in una dimensione definitiva di pace che non conosce eguali.
È un ritratto, quello che Gesù disegna in queste righe: le parole di Gesù sono brevi pennellate, capaci, come quelle di un pittore impressionista, di disegnare un volto, di raffigurare una persona, una persona rinnovata e cambiata.
Il Prologo, la composizione iniziale del vangelo di Giovanni, ci aveva già detto a chi appartiene questo ritratto: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio».
Ebbene, nel discorso che inizia con le parole che leggiamo oggi, Gesù rivela il volto degli uomini come figli di Dio: saranno loro i veri figli, quelli per cui Gesù pregherà nel capitolo 17, uniti a lui nel destino di non appartenere al mondo, pur restando nel mondo.
«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri»: questo versetto, in cui domina il verbo greco agapaō, amare, è la prima pennellata, il primo tratto del volto dei figli, quello più significativo, quello che spiega la lavanda dei piedi e si realizza nel ripetere quello stesso gesto.
Il volto dei figli del Padre è segnato innanzitutto da un amore nella concretezza di un servizio, un amore «rivoluzionario» rispetto alla mentalità del mondo. È l’amore di agapē, quell’amore gratuito e disinteressato che pone l’altra persona, con tutta la sua vita, i suoi problemi, le sue necessità, al centro dell’attenzione.
È l’amore che dona senza chiedere niente in cambio.
Questo amore è la prima caratteristica dei figli di Dio, questo amore è ciò che cambia e rinnova tutto il mondo umano.
Questo amore corrisponde al volto dell’umanità vera, voluto e pensato dal Padre.
L’evangelista, infatti, fa una scelta interessante: colloca queste parole, che disegnano il volto degli uomini come figli di Dio, dopo il tradimento di Giuda.
Non è una scelta a caso: chi tradisce Gesù non tradisce soltanto lui e il suo messaggio, ma tradisce l’umanità che Gesù ha rivelato e costituito, l’umanità nuova.
Giuda ha ricevuto il dono di Gesù, ma in lui non si compie il volto dei figli di Dio; Giuda non esercita il «potere» di diventare figlio del Padre, così resta nelle tenebre di una umanità senza senso.
Il «comandamento nuovo» viene dopo, viene per coloro che restano e aderiscono, non per chi ha scelto la strada del tradimento. Ma dobbiamo dire ancora qualcosa anche sulle prime parole che Gesù rivolge ai discepoli nel brano di oggi. Gesù parla di glorificazione, del Figlio dell’uomo e di Dio.
Glorificazione, quindi gloria. È la gloria in senso biblico: Gesù non pensa a fenomeni grandiosi, a liturgie interminabili o a sfavillanti celebrazioni, ma al riconoscimento del «peso» nella storia umana, il peso della presenza di Dio nella storia. «Figlio dell’uomo» è un titolo che dice Gesù come autentico e originale modello dell’umano.
Ecco, allora: Dio stesso, il Padre, e Gesù, l’uomo autentico come il Padre lo ha voluto e pensato, riconoscono l’Uno all’Altro il loro ruolo decisivo e insostituibile, un ruolo senza il quale la storia del mondo e dell’umanità non avrebbe senso.
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