Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato XIII Domenica del Tempo ordinario (Anno A)

CommentoDal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.

Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.

Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.

E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

(Mt 10, 37-42)

Commento a cura di Piergiacomo Zanetti

Sono due gli aspetti su cui indugia il Vangelo (e le letture) di oggi: cercare la fonte della vita e il cammino della riconoscenza.

Andare alla fonte della vita: dobbiamo cercare la fonte della nostra vita e collocarla al primo posto.

La ricerca è un cammino che di conseguenza ci aiuta a porre ordine alla nostra vita. Andare alla fonte della vita è giungere in quel luogo dove si nasce come persone, come noi stessi, come identità. Capaci di generare gli altri. L’uomo diventa a sua volta fonte, fonte di vita.

Si guardino le persone e le relazioni che compaiono nelle prime righe: si parla di padri e madri, di figli e figlie. Non si parla invece di fratelli e sorelle, di amici, o di mariti e mogli, segno che per loro c’è un altra dinamica, qui non contemplata.

Si parla di padre e madre, figlio o figlia: sono le dinamiche ancestrali, quelle affettive fondamentali, radicali. In quanto tali sono talmente profonde che quasi non le si distingue da noi stessi e dalle radici del nostro essere. E si rischia l’incesto, la non nascita, la non ri-uscita.

Per dirlo con una immagine, queste dinamiche affettive sono come la terra per le radici di un fiore o di una pianta. Senza la terra pare non si possa vivere. Ma la terra non è ancora la fonte dell’esistenza. È l’acqua contenuta nella terra, con i suoi minerali, la sorgente a cui le radici attingono. È Dio a cui bisogna giungere, è lui l’acqua, gli altri affetti invece sono la terra che trattiene l’acqua per le radici, e permette la vita.

Questa distinzione va fatta, altrimenti si rischia l’incesto, il soffocamento, la non nascita, la non identità. Si rischia di non ri-nascere mai a vita nuova, quella dello spirito, alla nostra vera e profonda identità personale. E di non far nascere neppure altri, figli e figlie.

Ecco l’invito dell’evangelo, prendere distanza e mettere ordine, distinguere. È invito a riconoscere cosa davvero è acqua e cosa terra. Non si tratta di odiare ma di distinguere, di superare e guardare oltre. Di trovare e riconoscere la fonte: quel di più che (ci) dona vita. Un di più in qualità, in identità. Solo l’amore vero genera vita, il resto è ricatto e morte. E la terra vive di quell’amore.

Non si abbia paura allora a collocare i genitori al giusto posto, dopo la fonte Dio, dopo quel respiro che hai intuito che ti permetterà di realizzare il tuo essere in questo mondo. Non aver paura di realizzare: non quello che tu fai, ma quello che tu sei.

E la seconda parte del vangelo ci porta invece alla riconoscenza: colui che è arrivato alla fonte e ha conosciuto l’amore gratuito, è in grado di ri-conoscerlo. Di essere ri-conoscente, di conoscere di nuovo (il mondo degli affetti e le cose) e quindi di donare gratuitamente.

Solo chi è arrivato alla fonte e l’ha gustata, darà di quell’acqua viva anche ai più piccoli, bambini o adulti che siano. Sarà lui stesso la fonte di quell’acqua, perché divenuto suo discepolo. Solo chi ha gustato quell’acqua sa vivere la gratuità dell’essere perché lui stesso è divenuto gratuità, riconoscenza.

Riconoscerà l’altro e gli altri davanti ai suoi occhi, nei loro bisogni. E donerà, senza più alcun obbligo, ma con spontaneità e responsabilità.

Questo donare ripagherà la persona perché, in fin dei conti, non sarà lui a dare, ma il Padre che lo abita. Lui si è fatto casa, tutt’uno col Padre, e viene consolato dalla gioia. Pienezza di vita!

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