Chi non porta la propria croce non può seguirmi

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

(Foto SIR/Marco Calvarese)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.

Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?

Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.

Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?

Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.

Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

(Lc 14,25-33)

Commento a cura di Ferdinando Caschili

Non è inconsueto, in tanti ambiti, imbattersi in qualche opera rimasta incompiuta; ci sono esempi sublimi, come la sinfonia «Incompiuta» di Schubert, ma anche altri meno esaltanti.

L’Italia, e la nostra Sardegna non fa eccezione, è nota per le grandi opere pubbliche poste in cantiere e mai ultimate.

Il Vangelo odierno ci pone di fronte al rischio dell’incompiutezza anche nel nostro personale rapporto con Gesù; quella di un’opera rimasta incompiuta è una delle immagini che lo attraversano. 

Gesù si volge a coloro che lo seguono, «una folla numerosa», provocandoli con una proposta di vita radicale e, proprio perché così impegnativa, porta l’esempio di chi intraprende la costruzione di un’opera ma senza valutare esattamente se ha tutti i mezzi per concluderla; nel caso di fallimento l’esito sarà lo scherno, «ha iniziato a costruire ma non è stato capace di finire il lavoro». 

Il cuore di Gesù è sempre orientato al bene dell’uomo; fa parte del suo stile aiutarlo a prendere piena consapevolezza delle motivazioni che lo spingono a seguirLo. 

Così ha fatto con i primi discepoli, cui rivolge la domanda: «Che cercate?» (Gv 1, 38); più avanti: «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16, 15); a Maria di Magdala: «Donna perché piangi, chi cerchi» (Gv 20, 15).

Eppure nella richiesta di Gesù, che appare così dirompente, potremmo dire che non c’è nulla di nuovo; quando gli venne chiesto quale fosse il primo e più grande comandamento la sua risposta richiamò l’assoluto dell’amore a Dio e solo conseguentemente l’amore al prossimo. 

L’elemento dirompente è invece nell’indicare in sé stesso l’oggetto dell’amore; così sta chiaramente indicando la sua divinità.

Lui è il Dio cui destinare l’assoluto degli affetti del proprio cuore.

Chi non porta la propria croce.

La consegna della totalità dei propri sentimenti a Gesù è la condizione previa, ma anche continuativa, del discepolato: le relazioni che accompagnano l’esistenza umana, se non ben collocate, e perfino la considerazione eccessiva della propria vita potrebbero essere intralcio alla verità della sequela.

Pensando all’elenco che Lui stesso fa «padre, madre, moglie, figli, fratelli sorelle» si potrebbe obiettare che si tratti di una richiesta quasi disumana, ma in realtà ci viene ricordato che la relazione a Dio è «ordinante», nel senso che permette di ritrovare la giusta scala di valori; il senso degli affetti deriva proprio dal riconoscimento di una fonte da cui tutto deriva: amando Lui si ritrovano in Lui anche tutti quelli che Lui ama.

Non è questa anche la struttura del Padre nostro? 

La preghiera che Gesù stesso ci ha donato, afferma prima di tutto i diritti di Dio, su cui si innestano le giuste richieste dell’uomo. 

Nelle esigenze della sequela Gesù fa riferimento al prendere la propria croce; in altri testi viene specificato l’impegno diuturno: «ogni giorno».

Ma Gesù specifica che deve essere un prendere la croce «dietro a Lui»; dunque in una posizione che ci aiuta a guardare avanti tenendo lo sguardo fisso su di Lui (cfr Eb 12, 2).

Chi non porta la propria croce.

Pensare ad una sequela di Gesù senza la croce espone al rischio di trovare una croce senza Gesù, quindi disperante.

Nel primato dell’amore a Dio e nell’abbraccio della croce troviamo l’antidoto al rischio dell’incompiutezza.

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