Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo

Ascensione del Signore (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».       

Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo.

Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

(Lc 24,46-53)

Da questo numero sarà padre Gabriele Semino, docente della Facoltà teologica, a commentare il Vangelo.

Grazie a monsignor Giovanni Ligas per il servizio offerto in queste settimane.

Commento a cura di Gabriele Semino

Mi è stato chiesto di commentare i Vangeli delle quattro festività del tempo pasquale: Ascensione, Pentecoste, Santissima Trinità e Corpus Domini. Ritengo che queste festività manifestino l’ampiezza, la larghezza, l’altezza e la profondità della risurrezione del Signore Gesù.

Mi pare cosa buona, di conseguenza, utilizzare delle immagini «geometriche» o, comunque, «locali» per ogni domenica di questo periodo, dal momento che queste solennità svolgono e specificano il dono della Pasqua rivolto a tutti oggi.

L’Ascensione, in modo evidente, manifesta un movimento verso l’alto.

Questo movimento verso l’alto nasce, però da un’orizzontalità molto concreta: «Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Per guardare in alto, cioè al fine, il Regno di Dio a cui siamo felicemente destinati, è necessario contemplare la vita di Cristo, che è fatta di polvere, terra, croce, sepolcro.

Il patire e risorgere di Cristo, il cuore del Triduo Pasquale che ancora è nella nostra memoria, la concretezza di quella storia, va ritenuta (nel senso letterale: tenuta e nuovamente tenuta nel cuore e nella mente) per poter guardare in alto.

Ancora di più: tutta la vita di Cristo, cioè tutto il Vangelo va letto e contemplato per poter salire con lui alla destinazione beata del cielo.

Visto che l’incontro, a volte lo scontro, con la Passione Risurrezione di Cristo non è mai facile e scontato, Gesù risorto ci assicura il dono  di «colui che il Padre mio ha promesso», lo Spirito Santo.

Prima  ancora che noi lo possiamo e vogliamo invocare, lo Spirito Santo ci è donato perché con la sua potenza ci rivolga all’alto, allo sguardo sul fine, che umanamente, per quanto bello, risulta sempre accompagnato dal timore di ciò che mai si è sperimentato.

La potenza dall’alto di cui siamo rivestiti, grazie allo Spirito Santo, mi porta a pensare e  a contemplare un dono che viene dall’alto: la Gerusalemme celeste, che scende dal cielo come sposa adorna e pronta per lo Sposo, il Signore Gesù morto e risorto (Apocalisse 22).

Questa sposa (che siamo noi) bellissima e adornata di tutto lo splendore possibile e immaginabile, posta su questa terra da Dio come dono inaspettato e inimmaginabile,  è segno che, appunto, attraverso il dono dello Spirito Santo l’umanità è abilitata alla salita al cielo, al matrimonio spirituale con lo Sposo, il Signore Gesù.

La benedizione di cui parla il Vangelo di questa domenica, è la possibilità di stare all’altezza dello sposo, di guardarlo negli occhi e di lasciarsi elevare da lui.

La gioia che gli Apostoli sperimentano nell’assenza fisica dello sposo, assenza consumata momento dopo momento, è una gioia che può essere vissuta solo nella consapevolezza che l’ascesa al cielo, che è il fine è possibile solo nell’altra consapevolezza che il cielo è altrettanto un impegno offerto a fronte di un ulteriore dono: la sposa che è la Gerusalemme celeste è così splendida, non per i meriti (e di conseguenza non può essere meno splendida per i demeriti) di noi uomini e donne.

Rispetto al fine, l’ascesa al cielo, non ci resta che adorare con infinita riconoscenza, prostrandoci di fonte a  Colui che ci vuole, alla fine, con sé. 

Chiediamo questo dono: di adorare con riconoscenza il Dio che non vediamo ma che, nella salita al cielo, discende per preparare giorno dopo giorno la nostra salita a lui.

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