Un samaritano lo vide e ne ebbe compassione XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso».
Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?».
Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?».
Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Commento a cura di Fabrizio Fabrizi
Il Vangelo di questa Domenica intende suscitare nel lettore un vero e proprio cambio di mentalità, nella misura in cui la pagina di Luca 10 invita ognuno di noi a non ridurre Dio e il prossimo a due realtà subordinate ai nostri interessi.
Nel suo dialogo con il dottore della Legge Gesù opera un capovolgimento che spiazza e, per certi versi, sconcerta.
Come emerge nel corso del dialogo, amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stesso non significa ridurre Dio e il prossimo al proprio cuore, cioè a oggetti del proprio desiderio.
Nelle parole di Gesù non è il desiderio a definire chi è Dio e a dirci chi è il prossimo, come si trattasse di due presenze per noi allettanti e gratificanti; piuttosto, è la novità dell’amore di Dio a renderci prossimi di chi non fa parte delle nostre «cerchie».
In questo consiste il capovolgimento, il cambio di mentalità proposto da Gesù: non pretendere che gli altri (compreso Dio) rispecchino noi stessi, ma lasciare che l’amore di Dio ci decentri verso l’altro essere umano, non perché questi è simpatico o perché è dei nostri, ma perché il rispetto della dignità della sua persona e la sua condizione di fragilità sollecitano una nostra presa di posizione in un suo favore, non importa la sua provenienza o il colore della sua pelle.
Non ci è difficile avvertire una forte consonanza con il dottore della Legge; come lui, anche noi siamo spontaneamente guidati dalla ricerca di felicità e di benessere e più o meno spesso chiediamo a Dio luce e soccorso per capire «che cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna», cioè come raggiungere la piena felicità. A questa nostra ricerca e domanda cosa risponde Gesù?
Egli non ci fa una lezione di filosofia e neppure ci impone una serie di indicazioni puntuali da osservare meticolosamente, ma ci fa entrare dentro una storia narrata affinché ciascuno di noi possa scoprire dentro le proprie vicende la presenza inaspettata dell’amore salvifico di Dio, che non ci chiude in noi stessi ma ci apre al diverso da noi.
Ritraduciamo la parabola di Gesù nel nostro oggi: noi tutti, cercatori di felicità e di Dio, siamo presi dalle nostre faccende, dai nostri affari, dalle nostre relazioni familiari, dai nostri hobbies e dalle nostre amicizie; in una parola, noi innocentemente ricerchiamo ciò che ci fa piacere e ciò che favorisce l’affermazione di noi stessi.
Ebbene, come per il samaritano della parabola, anche nel nostro mondo personale di presenze gratificanti e piacevoli può fare irruzione, in modo del tutto inaspettato e imprevedibile, la presenza di un «povero Cristo» che ha bisogno di soccorso e che, in contraccambio, non può darci nulla. In una tal situazione, quale decisione possiamo prendere? C’è chi, in «nome di Dio» e dei servizi da compiere in suo onore, continua diritto per la sua strada «perché Dio merita sempre il primo posto»; chi, in nome dei propri affari e interessi, mette al centro solo se stesso, per cui non ha tempo da perdere dietro a «questo scocciatore».
Ma c’è anche un’alternativa alla logica interessata e che, nella parabola di Gesù, è rappresentata proprio dal samaritano che, a ragione, il linguaggio della tradizione cristiana qualifica come «buono». Costui si ferma a prestare soccorso non per un puro calcolo di convenienza e nemmeno per un mal compreso «senso del dovere», ma perché avverte qualcosa di nuovo dentro di sé, quella compassione che lo decentra dal «suo» mondo e lo pone a servizio dell’uomo moribondo, a prescindere dalle sue credenziali.
Dio non è un oggetto del desiderio ma è un Soggetto che, invece di ammaliare e sedurre, apre nel nostro cuore la via dell’amore gratuito: non della spinta verso ciò che gratifica e arricchisce, ma della compassione attiva verso i poveri, tra i quali possiamo annoverare anche noi, altrettanto bisognosi di accoglienza e di cura in quelle parti ferite o disconosciute della nostra esistenza personale.
© Copyright Il Portico