Oliviero Forti: «Diciamo no alle narrazioni di odio» Parla il responsabile dell'Ufficio Politiche Migratorie della Caritas
Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana, nei giorni scorsi a Cagliari in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, organizzata dal Sistema di Protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati «San Fulgenzio», gestito dalla Fondazione San Saturnino (braccio operativo della Caritas diocesana) e dal Comune di Quartu, spiega l’attuale contesto migratorio.
Qual è l’attuale contesto migratorio?
Gli ultimi dati del Global trends ci ricordano che, a livello globale, le persone costrette a emigrare – perché perseguitate, per diversi motivi- sono in costante aumento: se ne contano più di 70 milioni, un dato che preoccupa, davanti al quale non possiamo restare indifferenti rispetto a possibili soluzioni sostenibili nel tempo, che permettano di seguire e supportare molte di queste persone nel percorso di fuga dai loro paesi.
L’Italia, tra gli altri, è in prima linea nel tentare di dare risposte, che si sono sempre più affievolite perché, con gli accordi stipulati con la Libia, si registra un numero sempre minore di sbarchi nel nostro paese (che comunque continuano) e ciò priva migliaia di persone della possibilità di trovare una qualche protezione in Europa: molte sono ancora bloccate in Libia, in una situazione di prigionia, vittime di tortura, come emerso dalle testimonianze di chi è arrivato con gli ultimi sbarchi che, come Chiesa, abbiamo gestito per il Governo Italiano.
Qual è la situazione dell’Italia?
Il nostro è un Paese che si sta sempre più chiudendo rispetto a questi temi, con tutta una serie di interventi normativi, che vanno nel senso di “criminalizzare” la solidarietà, soprattutto verso chi ha deciso di continuare a fare attività di salvataggio e ricerca in mare di queste persone. Ciò è elemento di forte preoccupazione, al quale cerchiamo di rispondere nei modi più diversi: uno di questi è la campagna promossa con altre 45 organizzazioni in Italia, “Io accolgo”, che vuole contrastare la narrazione, sempre più diffusa, incentrata sui temi dell’intolleranza, dell’odio, del razzismo, e rispondere con una visione diversa, che accomuna tanti italiani, che non riescono ad avere voce.
Qual è il ruolo della Chiesa?
La Chiesa ha una chiara posizione su questi temi, ispirata dal Vangelo: l’idea di un’entità che faccia della solidarietà il suo faro e su esso costruisca le sue proposte e la sua azione sul territorio.
L’idea è di non far mancare il nostro sostegno là dove necessario, però ciò non deve far pensare che la Chiesa voglia o debba sostituirsi alle istituzioni: la responsabilità dell’accoglienza e della gestione deve rimanere in capo ad esse, e, in una funzione sussidiaria, la Chiesa continuerà a garantire il supporto, in una cornice che sia rispettosa dei diritti umani. Purtroppo, sempre più spesso, ciò sembra venir meno e a quel punto dobbiamo avere la forza di alzare la voce e non prestarci ad altre dinamiche, che hanno obiettivi distanti da quelli che appartengono alla nostra storia.
Tra le iniziative della Chiesa, anche i corridoi umanitari.
Sui corridoi umanitari abbiamo firmato da poco un accordo che ci consentirà di portare in Italia da Giordania, Etiopia e Niger circa 600 beneficiari.
Il protocollo, presentato nei giorni scorsi durante la nostra missione in Etiopia, è stato accolto molto bene: presto partiranno le selezioni, l’incontro con le comunità di rifugiati per capire chi di loro può entrare nel programma e speriamo, già in autunno, di cominciare a portare i primi gruppi di profughi nelle regioni italiane disponibili ad accogliere.
Si tratta di un’iniziativa che ha un alto valore simbolico, ma che non può in alcun modo essere confusa né immaginata come sostitutiva di politiche migratorie, che devono avere un respiro molto più ampio, la cui responsabilità, ripeto, deve competere alle istituzioni.
Maria Chiara Cugusi
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