Sgorgheranno fiumi di acqua viva dal suo grembo Domenica di Pentecoste (Anno C)
Dal Vangelo secondo Giovanni
Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva».
Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato.
Commento a cura di Rita Lai
Siamo all’ultimo atto della parabola umana di Gesù, che sembrava finita domenica scorsa con l’Ascensione, col ritorno alla destra del Padre.
Ma Gesù aveva promesso lo Spirito: diverse volte in Giovanni egli lo promette ai suoi discepoli.
In questa pericope egli assicura che lo Spirito che Lui ci manderà viene dal Padre.
Non è mai solo Gesù che manda lo Spirito, ma quest’ultimo procede insieme dal Padre e dal Figlio.
La pericope odierna è incastonata in un lungo discorso di Gesù ai discepoli, intercalato da domande che essi gli fanno: il capitolo 14 era iniziato con queste rassicuranti parole: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me». E così finirà.
L’inclusione mostra il desiderio di rassicurare i discepoli alle prese con un’eredità bella ma pesante e difficile da realizzare.
È una parola consolante che Gesù lascia in dono a coloro che sta per lasciare per tornare al Padre.
La domanda che introduce la nostra pericope è quella di Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?», inspiegabilmente cancellata dalla selezione liturgica.
Spiega che quello che Gesù fa è un discorso ai discepoli che si vanno interrogando su di lui e sulle sue parole. È Parola da osservare, sia nel senso di seguirla, sia in quello di contemplarla.
Il testo è denso di promesse: Gesù prepara i discepoli, promette loro la dimora con loro, da parte sua e del Padre, al discepolo che avrà nel cuore la sua parola, Lui e il Padre offriranno la pienezza della comunione.
Basta amarlo e osservare la sua parola. Torna in scena l’amore, ma questa volta l’amore verso Dio e verso il suo Figlio: in questi contesti fortemente trinitari acquista ancora più forza il comandamento dell’amore verso Dio. Questo testo però va oltre: amare e mettere in pratica la Parola di Dio vanno di pari passo, non possono essere separate.
Quindi amare significa anche realizzare la volontà di Dio, ciò che egli vuole da noi. E ovviamente vale anche il contrario.
Ma c’è ancora un altro dono che il Risorto promette ai discepoli che aspettano: lo Spirito, che in questa pericope ha la duplice funzione deliziosa e sacra di rimanere con i discepoli (esattamente come Gesù e il Padre) e insieme insegnare e ricordare tutto ciò che Gesù ha insegnato e detto loro.
Rimanere, insegnare e ricordare sono i tre verbi usati per descrivere le funzioni dello Spirito: il primo verbo esprime in realtà «essere con», una sorta di permanenza stabile dello Spirito con gli uomini.
Lo Spirito allora è «la presenza continuata di Gesù nel mondo», un sacramento vivo del Cristo in mezzo a noi.
Egli infatti dice e annunzia ciò che avrà udito e sarà persino in grado di anticipare gli eventi futuri; proprio perché ha in sé la potenza della parola che porta, che non è sua ma egli l’ha sentita dal Padre.
Per rinnovare davvero la terra, ma soprattutto il cuore dell’uomo.
Questa parola che entra nel cuore dell’uomo e ha il potere, se l’uomo glielo consente di ridare a tutto nuovo smalto e nuovo entusiasmo, pone ogni uomo ancora una volta dinanzi ad una scelta: nel nostro cammino ci sono sempre due vie.
La prima ci presenta la realtà con tinte oscure e fosche: un presente difficile e un futuro buio e incerto, senza prospettive; la seconda è quella che non si nasconde il buio, ma sa che una luce c’è sempre, anche se ora non la vediamo, anche se rimanessimo in pochi a crederci.
È la strada di noi discepoli di Cristo. Lo Spirito vinca la nostra paura e ci doni il coraggio della speranza da testimoniare in ogni evento della nostra vita.
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