Il Papa chiede ai sacerdoti di chiudere con il clericalismo Don Luigi Maria Epicoco ha dettato gli esercizi spirituali ai seminaristi

Giovane sacerdote pugliese don Luigi Maria Epicoco, classe 1980, è volto noto del piccolo schermo, ma soprattutto conosciuto tra i frequentatori dei social media. Con un seguito di oltre 40mila follower i suoi commenti quotidiani al Vangelo sono letti da centinaia di persone, molti i giovani.

In Sardegna per dettare gli esercizi spirituali ai seminaristi del quinto anno, don Luigi, parla così della vocazione al sacerdozio e dei seminaristi in formazione. «I seminaristi – esordisce – non sono giovani diversi da quelli che sono nel mondo, e quindi si portano addosso la stessa fragilità di qualunque altro giovane: un senso di precarietà, di difficoltà a fare delle scelte spesso sono tipiche tra i ragazzi. Per cui trovare qualcuno che ha deciso di mettersi in una strada che sa già di definitivo è una buona notizia. Questi ragazzi arrivano dal mondo e si portano appresso tutto ciò che hanno vissuto: la vera sfida della formazione non è insegnare agli altri la teoria giusta ma offrire innanzitutto quello che uno ha fatto con la propria vita. Il Papa ci chiede di chiudere con il clericalismo: bisogna lasciare la “posizione” nella società per arrivare ad avere l’autorevolezza dell’educatore. Essere autorevoli e cessare di essere autoritari, perché l’autorevolezza arriva dalla testimonianza della propria vita».

Don Luigi tra gli incarichi ha anche quello di direttore della residenza universitaria San Carlo Borromeo all’Aquila. Una città ancora ferita dal sisma di dieci anni fa. «Il terremoto – prosegue il sacerdote – ci ha messo in grave difficoltà,, perché aveva messo in discussione tutto quello che avevamo costruito anche in termini umani, pastorali. La sofferenza in questi dieci anni non ci abbandonato, anzi è ancora presente e si fa sentire in tanti modi. La sofferenza post terremoto ci ha fatto ripensare a come ripensare alla nostra pastorale: gestendo direttamente una residenza universitaria, vivendo quotidianamente con i ragazzi, e cercando di dare costantemente speranza e fiducia, cosa che il mondo non fa».

L’impegno di don Luigi e dei suoi collaboratori è quello di far comprendere che un senso della vita esiste, che occorre investire sul futuro, sulle cose che vale la pena vivere. «Il nostro – riprende don Luigi – è un lavoro i cui frutti si vedranno in futuro perché è di carattere educativo: quando questi ragazzi saranno adulti capiremo se effettivamente abbiamo lavorato bene. In questo momento possiamo dare fiducia ed essere padri. Una delle parole che oggi sono assenti nel nostro tempo è proprio questa: essere padri. Siamo in una società che non ha più padri, perché sono loro che ci sanno introdurre nelle cose del mondo, con i loro “Sì” e con i loro “No”, sanno dare il senso del limite, facendoci uscire dal guscio».

Quanto poi alla situazione post terremoto la ricostruzione va a rilento. «Si tratta di un grande cantiere – conclude il sacerdote – dove tutto, forse, procede a rilento. La città costruita sul centro storico non potrà ritornare alla normalità fino a quando questo non ritornerà come era prima del sisma: una città con il centro storico ha il suo cuore pulsante. Quello è il luogo sociale e antropologico della città. Il problema serio oltre alla distruzione degli edifici c’è quello del tessuto sociale. Sono aumentate le divisioni nelle famiglie, è cresciuto l’uso degli psicofarmaci del 70%, è aumentata la mortalità del 40 per cento degli anziani, è salito l’indice dei suicidi. Dati che indicano un malcontento sociale che è più serio di una casa crollata. Per cui accanto alla ricostruzione delle case occorre sostenere le persone che vivono un disagio molto forte. La sfida è dunque costruire le pietre, quindi le case ma anche e soprattutto le relazioni tra le persone».

Roberto Comparetti

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