Paladini della libertà o intolleranti alle idee altrui? Riflessione a margine della vicenda di Verona
Ogni volta che mi scontro con l’espressione di un pensiero chiuso e ideologico, di reazioni rabbiose, schifate, verso un punto di vista ragionevole per quanto differente mi coglie un brusco senso di sconforto. Alcuni si dichiarano paladini della libertà e della tolleranza, ma negano l’una e l’altra a chi non la pensa come loro. Mi riferisco agli attacchi ricevuti dalla capogruppo Pd nel Consiglio comunale di Verona, Carla Padovani, che ha votato le misure proposte dalla maggioranza leghista a favore di associazioni e progetti che si prefiggono di aiutare madri in difficoltà, evitando per quanto è possibile la scelta abortiva.
Tra i progetti c’è «la culla segreta», già attivo in altri Comuni, anche con il contributo di associazioni non cattoliche, che propone e rende possibile, gratuitamente, partorire nel totale anonimato, con il disconoscimento legale del neonato, che verrà successivamente dato in adozione dal Tribunale dei minori.
Nei secoli passati erano le ruote dei conventi ad accogliere bambini «indesiderati», ma il riferimento al passato non può certo giustificare il giudizio di oscurantismo e di «ritorno al Medioevo» con cui è stata tacciata la scelta della consigliera Pd. Il Medioevo storico è stato per tanti aspetti molto più luminoso delle moderne, quanto oscure, derive contro la vita di ogni età, contro le persone più deboli e indifese.
Anche in questa circostanza qualcuno ha contrapposto i bambini non ancora nati ai bambini migranti che muoiono in mare. Ciò è assurdo e inammissibile: non hanno tutti l’uguale e fondamentale diritto alla vita? La stessa incoerenza tocca chiunque privilegi gli uni, dimenticando gli altri o voglia difendere i secondi disprezzando i primi.
Nella mozione si fa riferimento ai milioni di bambini non nati, all’introduzione dell’aborto farmaceutico con la pillola RU486, alla possibilità di effetti abortivi della «contraccezione d’emergenza» (la pillola del giorno dopo e dei 5 giorni dopo), al valore dell’obiezione di coscienza. Ciascuno di questi temi avrebbe bisogno di una riflessione ampia, onesta e pacata, fondata su dati oggettivi e non strumentalizzati.
I progetti promossi dal Comune di Verona, lungi dal mettere in pericolo la legge 194/78, ne rispettano lo spirito e la lettera.
Essa è stata scritta, e ha come titolo, «per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza».
Non si tratta della «legge per il diritto di aborto»; in realtà il valore sociale che si intende tutelare è primariamente la maternità (madre e figlio), pur facendo prevalere, a certe condizioni, la scelta abortiva.
Nel suo primo articolo si legge che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».
Appare evidente che chi insorge contro l’iniziativa veronese e la consigliera Pd o non conosce la legge o la vuole ideologicamente stravolgere.
Non si tratta infatti di abrogarla, ma di darle piena attuazione, come finora non è stato fatto, in favore dei bambini e, allo stesso tempo, delle madri che li portano in grembo. Se alcuni vogliono trasformare l’aborto in un diritto, celato dall’espressione «salute riproduttiva», in un metodo contraccettivo, in un evento comune e persino banale, la legge 194 lo considera ancora e giustamente come una scelta estrema e drammatica, che impegna le istituzioni statali a offrire soluzioni per evitarlo.
Stefano Mele – Docente di Bioetica Facoltà Teologica della Sardegna
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