La cultura del dono come antidoto all’odio Troppe notizie con segno negativo. Una proposta diversa

la cultura del donoIn questo numero abbiamo deciso di dedicare l’apertura al tema della donazioni di organi. Un modo per raccontare una realtà spesso sottaciuta ma che interessa la storia di molte persone.

Lo facciamo perché intorno a noi è un susseguirsi di notizie dal sapore troppo aspro, che non vanno nascoste, ma neanche spacciate come le uniche degne di essere raccontate.

Tra i temi che spesso occupano l’agenda mediatica nel nostro Paese c’è il sentimento di rabbia e rancore dominante.

Da oltre un anno gli economisti hanno certificato un’inversione di tendenza, con l’uscita dalla crisi economica, anche se non ha fatto sentire ancora i suoi effetti in Italia.

Troppo debole la ripresa per trainare il Paese fuori dalle secche. A complicare le cose un panorama internazionale che non agevola il percorso per noi italiani.

Così, non avendo risposte alle legittime istanze, chi sta peggio si accanisce con i più deboli, spesso stranieri, ma anche con chi aiuta e va incontro alle necessità dei più bisognosi.

È dei giorni scorsi la serie di episodi che ha interessato alcune delle diocesi disponibili a ospitare una parte dei migranti della nave «Diciotti».

Tra queste anche la curia di Taranto, che ha subito aspre critiche e insulti tramite i social network, dopo la disponibilità manifestata dall’arcivescovo Filippo Santoro, presidente del Comitato scientifico delle Settimane sociali, ad accogliere nelle strutture della diocesi parte dei migranti destinati a Rocca di Papa, dopo il loro sbarco a Catania.

Dietro ai continui episodi di questo genere un ruolo determinante lo interpretano i social: lì spesso si formano quelle che gli esperti chiamano «echo chambers», ovvero i luoghi nei quali idee o credenze più o meno veritiere vengono amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all’interno di un ambito omogeneo e chiuso, dove le interpretazioni divergenti finiscono per non trovare alcuna considerazione. In sostanza si tratta di luoghi nei quali chi dissente è bandito.

Per questo pubblichiamo la lettera che il salesiano Martín Lasarte ha indirizzato al New York Times, nella quale il sacerdote ricorda come, accanto agli uomini di Chiesa che si sono macchiati di orrori ce ne sono molti di più che ogni giorno spendono la vita a favore dei più deboli. Del loro prezioso lavoro non si fa cenno in nessun reportage dei grandi media mondiali, figuriamoci in quelli meno importanti.

Il presidente nazionale dell’Azione cattolica, Matteo Truffelli, in un’intervista all’agenzia Sir ha sottolineato come ci sia il «rischio di smarrire le ragioni del nostro stare insieme. Di perdere il senso, e anche il gusto, di progettare il futuro in maniera condivisa. Come nazione, ma anche come Europa, come umanità». «Oggi – ha detto – parlare di “unità della famiglia umana”, come ci hanno insegnato Giovanni XXIII e il Concilio, può sembrare quasi una provocazione, una di quelle aspirazioni che con facilità ma anche con cinismo vengono sbrigativamente liquidate come “buoniste”. Ma non è così: o il futuro che ci attende sarà un futuro comune, pensato e costruito insieme, o sarà un futuro dominato dall’ingiustizia e dalla violenza. Un futuro disumano».

Ecco allora la necessità di continuare a raccontare quanto di buono accade, senza sottacere ciò che non va.

Roberto Comparetti

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