Giunto sabato si mise a insegnare nella sinagoga XIV Domenica nel Tempo Ordinario (Anno B)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
(Mc 6,1-6)
Da questo numero sarà don Marco Orrù, direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale familiare, a commentare il Vangelo domenicale. Un grazie a Fabrizio Demelas per il servizio reso nelle ultime settimane.
Commento a cura di Marco Orrù
Quella dei profeti non è mai stata una vita facile. Non lo è stata per i grandi profeti dell’antica alleanza come Isaia e Geremia e ancora meno per Giovanni Battista, ultimo dei profeti. Anche Gesù deve fare i conti con una dura opposizione proveniente prima dalla gente della sua patria, poi da Gerusalemme che, dopo averlo accolto come un re, lo consegna alla condanna a morte.
Di fronte a un insegnamento autorevole gli ascoltatori, molti ma non tutti, rimangono stupiti e si domandano da dove gli venga tanta sapienza. Ancora di più, se alla parola seguono fatti prodigiosi, lo stupore si trasforma in scandalo. La meraviglia delle parole e delle opere delle sue mani, anziché condurre all’accoglienza del Signore Gesù nella sua vera identità, costituiscono un ostacolo alla fede.
Gesù sottolinea con rammarico che questo è il destino che inizia a consumarsi proprio a partire dalla sua terra, quella Nazareth che lo ha visto crescere e che lo individua come uno di loro e lo riconosce nei limiti di una parentela dai tratti unicamente umani.
La fede permetterebbe di superare lo scandalo che nella persona di un uomo, per di più noto nelle sue origini, possa rivelarsi la stessa presenza di Dio. È ancora troppo presto per i suoi contemporanei, per capire e accettare che nella persona di Gesù di Nazareth si stia compiendo il mistero della salvezza a partire dall’incarnazione del figlio di Dio.
D’altra parte noi credenti cristiani oggi possiamo affermare che senza la storicità della persona di Gesù che ci viene rivelata nei vangeli, anche la sua identità divina non sarebbe comprensibile e tutto ciò che chiamiamo «mistero di salvezza» sarebbe ridotto a pura ideologia.
Anche nella Chiesa, voluta da Cristo risorto e inaugurata con l’effusione dello Spirito sulla comunità apostolica, non è mai mancata una voce profetica, capace di discernere i segni dei tempi e offrire ai credenti una via sempre nuova per l’annuncio del Vangelo. Se la voce del profeta scelto e inviato si presta a veicolare la Parola di Dio, non può che essere una voce scomoda, perché il Vangelo non è mai accomodante. Quando si tenta di attenuare la sua forza e raddolcire l’impatto che può avere nella nostra vita, non facciamo altro che sostituire la meraviglia, lo stupore e la gioia del vangelo con l’incredulità.
Penso ad alcuni uomini e donne, capaci di profezia, che lo Spirito ha suscitato in diversi tempi e in diversi modi nei duemila anni di storia della Chiesa: da san Francesco d’Assisi a san Giovanni Bosco, da santa Caterina da Siena alla santa Madre Teresa di Calcutta fino agli incompresi e poi riabilitati e valorizzati, don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani.
Ma non meno profetica è la voce del Concilio Vaticano II, la voce della Chiesa definita «istituzionale» che, ispirata dal soffio dello Spirito, ha avuto il coraggio di mettere in discussione se stessa in dialogo con il mondo. Una voce che ha dato alla Chiesa un respiro profetico che attende ancora di essere sviluppato e coniugato con un linguaggio del mondo sempre più complesso.
In un dialogo immaginario sant’Agostino domanda al ladrone pentito, crocifisso accanto a Gesù, perché proprio lui, e non i sacerdoti del tempio, sia stato capace di riconoscere in Gesù il Figlio di Dio. La sua risposta: «mi è bastato incontrare il suo sguardo!».
La fede scaturisce dal lasciarsi guardare con amore da Gesù, dove egli attende di incontrasi con noi, nei percorsi della vita quotidiana e nell’appuntamento domenicale delle nostre chiese, alla mensa della Parola e dell’eucaristia.
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