Il Regno di Dio è come un granello di senape XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

regnoDal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

(Mc 4,26-34)

Commento a cura di Fabrizio Demontis

«Se qualcuno ci chiedesse informazioni sul regno di Dio, noi non avremmo difficoltà a rispondere che il regno è una realtà escatologica, una realtà che si realizzerà alla fine dei tempi, il “regno dei cieli”, per dirla con la denominazione preferita dal vangelo di Matteo.

Non c’è dubbio che alla fine dei tempi, quando si vedrà «il Figlio dell’uomo venire sulle nubi» (Mc 13,26), il regno di Dio assumerà la sua dimensione definitiva. Ma Gesù, raccontando le parabole che leggiamo in questa domenica, non pensava a quella dimensione.

Il regno di Dio di cui parla qui è un regno «vicino», secondo quanto lui stesso aveva annunciato all’inizio della sua predicazione (Mc 1,15), è qualcosa che ha a che fare con la vita terrena. Anzi, stando a queste parabole, addirittura con la terra vera e propria: è un seme, un seme da gettare «sul terreno», un seme «seminato sul terreno».

Niente di meno celestiale. E niente di meno futuro: il regno è «vicino», come il seme che germoglia, cresce, fa rami che danno ombra e portano frutto. Oggi, non domani. Ma il regno è anche «come un uomo che getta il seme»: il regno è un lavoro da fare, una missione da compiere, un obiettivo che si può raggiungere. Si può raggiungere seminando, senza dover fare nient’altro di particolare.

Il regno di Dio è una realtà di oggi e per oggi, è la nuova realtà che riguarda la vita sulla terra, la vita quella che stiamo vivendo, noi ora.

A ogni persona è affidata la costruzione del regno, la semina del seme. Non c’è molto da fare, basta una cosa sola: assumersi la responsabilità di seminare, la responsabilità di vivere, nel proprio quotidiano per quanto piccolo, il regno di Dio realizzato. La responsabilità interpella ognuno, sollecita, ma, insieme, ricorda che il regno si può fare, è nelle nostre possibilità. Infatti il regno è «vicino», è a portata di mano, è qualcosa che, se seminato, potrà essere colto, come il frutto nato dal seme.

Ed è «di Dio». Questo vuol dire che il regno ha Dio come soggetto e come oggetto, quindi come relazione con noi a tutto campo. Il regno ha Dio come soggetto, perché Dio stesso, il Padre, è il Signore di questa nuova realtà e ne è protagonista con la Sua presenza incontrabile.

Ha Dio come oggetto, perché il regno è il compimento del Suo progetto, il progetto che Dio ha sull’uomo e sulla storia umana fin dall’inizio della creazione, un progetto da realizzare nel quotidiano. E ha Dio come relazione: il Dio incontrabile è un Padre da riconoscere, un Padre con cui rapportarsi, un Padre che insegna ad accogliere gli altri perché fratelli. Il regno di Dio è una socialità nuova da costruire con Dio e con gli altri, nella nostra epoca e in tutte le epoche della storia.

Il vangelo di Marco parlerà ancora del regno di Dio. Lo farà più avanti, al capitolo 10, dove Gesù rivelerà una condizione essenziale per poter costruire il regno e abitarci: bisogna essere «come bambini». Essere come bambini vuol dire avere la coscienza chiara di dipendere dal Padre, di volere, con semplicità, che tutta la vita sia presa dalla relazione con Lui e ci resti sempre.

E vuol dire avere uno sguardo semplice sulle cose per poter realizzare uno spazio, nel Suo nome, in cui sia possibile vivere in unità con gli altri, come «gli uccelli del cielo, che possono fare il nido alla sua ombra».

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