Mentre mangiavano prese il pane e il vino Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno B)
Dal Vangelo secondo Marco
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Commento a cura di Fabrizio Demelas
Secondo il racconto di Marco, che anche Matteo e Luca seguono, Gesù celebra con i suoi discepoli la cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (Es 14,14) e momento forte della vita di ogni israelita.
Il racconto della cena vera e propria è preceduto dall’invio di due discepoli a preparare il banchetto. L’intenzione di Gesù, ci dice così l’evangelista, era chiara: voleva condividere quel momento con i suoi per dare a quella celebrazione un significato particolare.
Così Gesù si ritrova a tavola, a fare i gesti richiesti dal rituale, con il pane, da dividere tra tutti, e con il vino, che bisognava distribuire tre volte tra i commensali. Notiamo subito la mancanza di un ingrediente essenziale della pasqua ebraica: l’agnello.
Ma la mancanza è solo apparente: anche se Marco non chiama mai Gesù «agnello di Dio» (sarà, più tardi, il vangelo di Giovanni a usare questo titolo), è chiaro anche qui che il posto dell’agnello lo ha preso lui. Infatti, Marco precisa che questa scena è iniziata «quando si immolava la Pasqua», cioè quando si immolavano gli agnelli che sarebbero stati consumati più tardi nella cena. E in quella cena con i discepoli, l’agnello era lui, Gesù stesso.
Di quell’agnello che era, Gesù decide di dare da mangiare ai presenti: con le sue parole, il pane diventa corpo e così ognuno può mangiare il nuovo agnello. Poi tocca al vino. Il vino diventa sangue, «mio sangue dell’alleanza».
La liturgia di questa domenica, nella prima lettura, ricorda i gesti di Mosè davanti al popolo quando tutto Israele si impegna nella alleanza con Dio.
Il sangue degli agnelli, versato da Mosè sull’altare, diventa il segno dell’impegno di fedeltà che Israele assume davanti al Dio dell’alleanza. Allo stesso modo, i discepoli di Gesù, che bevono quel vino cambiato in sangue, entrano, con una intensità ancora più grande, in una alleanza rinnovata con Dio e ne assumono gli impegni nel nome di Gesù.
Oggi, anche oggi, tocca a noi. Mangiamo quell’agnello, partecipiamo a quel sangue. E quella alleanza? Che cosa resta, per noi, di quella alleanza? Come incide e che cosa cambia nella nostra vita? E poi, in fondo, che cosa vuol dire in concreto?
Pochi versetti più avanti, il vangelo di Marco mostra Gesù in preghiera nel Getsèmani. Pregando, Gesù si rivolge a Dio chiamandolo «papà», «Abbà».
Già prima, Gesù aveva parlato di Dio come del «Padre» (Mt 8,38; 13,32) e aveva rivelato ai suoi che Dio era «il Padre vostro» (Mt 11,25), ma lì, nel Getsèmani, mostra una intimità impensabile. Ecco l’alleanza. Ecco l’alleanza per noi, quella che possiamo capire e vivere: il Dio di Israele, grazie al sangue di Gesù, è il Padre, Padre nostro.
E l’alleanza è una relazione, personale e diretta, con quel Padre, una relazione come quella che viveva Gesù, come quella che si dovrebbe vivere con ogni «papà». E vivere l’alleanza con un simile papà significa guardare il mondo, la vita, i problemi di ogni giorno, piccoli e grandi, con lo stesso sguardo di Gesù, lo sguardo di un figlio verso gli altri figli, verso i fratelli.
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