Promuovere la cultura del reinserimento Dal convegno della Caritas un invito anche alla società civile
Un pomeriggio di condivisione sulle buone prassi per il reinserimento dei detenuti.
Il convegno organizzato venerdì scorso dalla Caritas, nell’Aula magna del Seminario, è stato, per gli operatori che ruotano intorno al mondo della detenzione, occasione di confronto e per ribadire la necessità di un cambio di mentalità: dalla indifferenza e dal rifiuto del detenuto all’impegno per realizzare percorsi di reinserimento nella società.
«Il nostro lavoro – ha detto a margine dei lavori Elisabetta Murenu, funzionario di servizio sociale dell’Ufficio esecuzione penale esterna della Sardegna – inizia con una conoscenza della persona che si vorrebbe inserire. Grazie alla disponibilità della Caritas troviamo il modo di offrire ai detenuti la possibilità di espiare la pena in maniera alternativa, tarando il percorso attraverso una conoscenza diretta delle competenze. Una volta acquisite tutte le informazioni le inviamo al Tribunale affinché si definisca l’iter per poter permettere di iniziare così un’attività fuori dal carcere».
In questo giocano un ruolo fondamentale gli operatori Caritas. «Cerchiamo – dice Silvia Piras, operatrice Caritas – di inserire le persone in servizi come ad esempio la mensa, o anche in altri, così che che possano scontare la pena fuori dal penitenziario, in modo attivo e svolgendo una mansione che a fine pena potrebbe diventare un’opportunità lavorativa».
Il dato che più sorprende è il tasso di recidiva. «Non abbiamo numeri precisi – conclude Silvia Piras – ma è certo che le misure alternative alla detenzione portano ad una riduzione di reiterazione del reato».
Un concetto ripreso anche da monsignor Miglio nei saluti iniziali. «L’idea – ha detto – è che dobbiamo perseguire una strada capace di portare al reinserimento delle persone che hanno commesso degli errori. Solo offrendo loro nuove opportunità di riscatto avremmo più probabilità che non commettano altri reati».
Sulla utilità dei lavori come alternativa alla detenzione si è espresso anche Giorgio Altieri, giudice del Tribunale di Cagliari. «Noi – ha esordito il giudice – veniamo da una storia di carcere inteso come unico sistema per espiare la pena. Invece dare la possibilità di avviare un percorso che consenta, a chi si è macchiato di un reato, di poter evitare di entrare in carcere, offrendogli l’opportunità di fare un servizio in una struttura come il Centro di solidarietà di viale sant’Ignazio, è una risposta che va incontro ad un possibile riscatto. Per questo la notizia della prossima chiusura del Centro Caritas è fonte di preoccupazione, proprio per il numero di soggetti interessati che hanno un riferimento».
Per chi resta dietro le sbarre la Caritas, attraverso una trentina di volontari, offre un servizio di ascolto e di prossimità. «I detenuti – ha detto Paolo Bernardini, volontario e referente dell’area carcere – ci attendono e con loro instauriamo un dialogo, attraverso il quale continuiamo a dare speranza. Si tratta di colloqui di sostegno, nel corso dei quali offriamo un ascolto consapevole, capace di far acquisire nuovamente fiducia nel futuro».
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