Il valore sacro della vita umana dall’inizio al suo termine Una riflessione a quarant'anni dalla legge 194
Abbiamo celebrato nella Pentecoste la pienezza del Mistero Pasquale ricevendo una rinnovata effusione dello Spirito, tanto più efficace ed abbondante perché invocata da tutta la Chiesa. Scrive un anonimo autore africano del VI secolo (sarà stato discepolo di San Fulgenzio, forse proprio qui in Sardegna?): «Celebrate questo giorno come membra dell’unico corpo di Cristo. Infatti non lo celebrerete inutilmente se voi sarete quello che celebrate. Se cioè sarete incorporati a quella Chiesa che il Signore colma di Spirito Santo».
Questa Chiesa, una santa cattolica e apostolica, è presente in ogni chiesa particolare, affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio. Di qui nasce l’importanza fondamentale della vita diocesana, che proviene non solo da motivazioni di carattere disciplinare e organizzativo ma da motivazioni profondamente teologiche e spirituali.
Di qui nasce l’invito pressante che voglio rivolgere a tutti per il prossimo convegno diocesano (6-7 giugno 2018) e per l’impegno pastorale che ne dovrà seguire con una speciale attenzione alla pastorale della famiglia. È di fondamentale importanza, se vogliamo essere Chiesa che evangelizza, rafforzare un impegno positivo per la famiglia.
Sono tante le situazioni di male e di sofferenza nelle vicende famigliari ma oggi (e forse anche ieri) non serve molto limitarsi a «condannare», è molto più urgente e importante annunciare il «Vangelo» (lieta notizia) della famiglia, rimettere la famiglia al centro della pastorale, rileggendo l’Amoris Laetitia con attenzione e liberandoci dalle polemiche di chi sarà anche preoccupato di mantenere papa Francesco nell’ortodossia (!) ma riduce ancora una volta il discorso sulla famiglia alla casistica delle situazioni difficili, dimenticando l’annuncio di gioia che ci viene non solo dalla pagina di Cana ma dal Vangelo vissuto da tante famiglie «della porta accanto», che proseguono ogni giorno il loro cammino con gioia anche nei momenti più difficili.
In questi giorni viene ricordato il 40mo della legge 194 «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza» pubblicata il 22 maggio 1978. (Che anno! Pochi giorni prima l’assassinio di Aldo Moro, pochi mesi dopo la morte di Paolo VI e poi di Giovanni Paolo I ).
Come sia stata tutelata la maternità in questi 40 anni è sotto gli occhi di tutti e la crisi demografica del Paese non ha bisogno di commenti. E per capire come sia stata applicata la legge 194 è sufficiente rileggere la legge stessa per notare quali articoli siano stati quasi esclusivamente attuati e quanta ipocrisia ci fu e permane per far passare certi «diritti».
Mi è stato chiesto quale sia la posizione della Chiesa in merito. Per quanto riguarda l’aborto volontario non vi sono dubbi: nessuno è padrone della vita umana, ne siamo solo amministratori e quindi nessuno può uccidere un essere umano la cui vita è sacra dal primo istante all’ultimo. Ma in questi anni in molti abbiamo potuto ascoltare dalle interessate cosa significhi per una donna simile esperienza: quali ferite e quanto tempo per rimarginarle, almeno in parte.
Ed ecco allora che senza sminuire la gravità oggettiva dell’aborto volontario sentiamo più che mai l’urgenza di essere vicini alla donna coinvolta, sia prima, durante la gravidanza (un grazie sincero ai Centri di Aiuto alla Vita e a quanti si adoperano per salvare vite umane), sia dopo, per aiutarla a riprendere speranza e fiducia.
In questo spirito papa Francesco ha allargato a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere chi è veramente pentito dalla censura ecclesiastica della scomunica che colpisce chi sceglie l’aborto e chi vi coopera. Le statistiche dicono che il numero degli aborti è diminuito, anche per la diffusione generale delle «attenzioni» ad evitare gravidanze. Ma che dire del dilagare di una cultura sessuale che banalizza corpo e affetti e brucia progetti e speranze di tanti giovani? Vogliamo anche riconoscere che questa è una delle cause che stanno a monte di tante violenze sulle donne?
È un abisso quello che separa il «Vangelo della famiglia» dal deserto e dallo scetticismo che ha invaso il cuore di molti, giovani e non solo. Infine una parola sull’obiezione di coscienza, in questo ambito come in altri: naturalmente parliamo di un’obiezione sincera e leale. È un gesto concreto, che vale più di molte parole. Ma la parola vincente rimane sempre: Educare.
Arrigo Miglio – Vescovo
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