Don Antonio Loi verso l’onore degli altari In Seminario regionale la prima sessione di inchiesta sul giovane sacerdote
C’era una anche rappresentanza di Decimoputzu alla «Prima sessione dell’inchiesta diocesana sull’eroicità delle virtù del Servo di Dio, don Antonio Loi» tenutasi giovedì scorso nel Seminario regionale, in tanti per condividere questo momento, per cogliere intimamente come la Chiesa si accinga a presentare la figura di questo giovane sacerdote morto in odore di santità.
Nato a Decimoputzu il 6 dicembre del 1936 da genitori contadini, Antonio Loi ha avuto una immediata passione per la Chiesa e per quanto accadeva nella sua parrocchia, dove da piccolo fu ministrante.
«Trascorreva il pomeriggio a lavorare nei terreni di famiglia – scrive nella biografia il postulatore diocesano, don Fabrizio Deidda – ma faceva il possibile per terminare in tempo e poter assistere alla funzione mariana. Da ministrante aveva il carisma di attrarre anche altri ragazzi un po’ refrattari alla Chiesa».
Il suo desiderio più forte era quello di diventare sacerdote, tanto che lo scrisse in un tema a scuola ma con il risultato di venir deriso dai compagni e dall’allora insegnante.
Questo non lo scoraggiò e piano piano si fece sempre più insistente, in lui, la chiamata. Fu così che, accompagnato dal suo parroco e dalla famiglia si presentò al Seminario di Cagliari, ma non venne accettato in quanto non aveva ancora completato gli studi con l’esame di ammissione alla scuola media.
Un rifiuto che mise in crisi il giovanissimo aspirante sacerdote, fino a quando, grazie ad un amico di famiglia, si spalancarono le porte del Seminario di Iglesias: si preparò per l’esame di ammissione che sostenne a Cagliari nella sessione autunnale.
Dopo l’ammissione al Seminario di Iglesias Antonio visse nella massima serenità la propria vita, consapevole di aver realizzato l’aspirazione che coltivava fin da bambino. Lungo il suo cammino incontra padre Nicola Abbo, futuro apostolo della Carità nel quartiere di Is Mirrionis a Cagliari, grazie al quale consolida la sua devozione mariana.
Nel 1954 il giovane Antonio arrivò nel maestoso Seminario di Cuglieri, dove eccelse oltre che per il profitto negli studi, anche nello sport e nel canto. Tre anni dopo, anche la sorella Anna lasciò la casa di famiglia per consacrarsi come suora del Sacro Cuore nel convento di Vische, nei pressi di Torino.
Sarà il carisma speciale della preghiera per la santificazione sacerdotale ad affascinare Antonio, tanto che più volte farà visita alle suore, intessendo profondi rapporti di amicizia con le religiose. Il fascino della consacrazione definitiva a Dio attirerà anche Antonio e la manifesterà l’8 dicembre del 1957.
«Da quel momento – scrive ancora il postulatore diocesano – la vita di Antonio non fu più la stessa. Iniziarono i malesseri, i mal di testa improvvisi, una stanchezza che prima di allora non si era avvertita… Una nuova esperienza spirituale entrò nella sua vita: “il sacrificio” di un corpo che andava piano piano disfacendosi».
Tuttavia il suo percorso verso il sacerdozio proseguì e nel dicembre del 1960 fu il momento dell’accolitato.
Qualche mese dopo le sue condizioni si aggravarono: iniziò così un lungo peregrinare tra ospedali e cliniche, con alcuni interventi che non riuscirono a lenire la sua sofferenza, fino alla diagnosi definitiva: linfogranuloma maligno, che gli provocò l’impossibilità a rimanere in piedi e lo costrinse all’utilizzo di un busto.
Un viaggio a Lourdes consentì ad Antonio di chiedere alla Madonna il dono del sacerdozio, che arriverà il 22 settembre del 1963, con tanti sacerdoti presenti alla prima messa.
Il male però faceva il suo inderogabile e terribile corso, motivo per cui fu trasferito a Roma presso un ospedale particolarmente attrezzato ed essere sottoposto a cure più specifiche.
Nel corso della sua degenza don Antonio mostrava di avere qualcosa di speciale «Anche il personale medico e paramedico – scrive don Fabrizio – considerava la stanza un luogo speciale, dove vedere non solo un semplice malato ma qualcuno che donava a tutti una parola di conforto».
Il 4 maggio 1964 venne ricevuto da papa Paolo VI, che lo sollecitò a continuare a vivere quanto Dio aveva “sognato” per lui. Pochi mesi dopo si reca nuovamente Lourdes, per celebrare una Messa nella stessa grotta nella quale aveva chiesto di diventare sacerdote.
La malattia nel frattempo non gli dava tregua. Il 15 maggio del 1965 celebrò la sua ultima Messa e due settimane dopo ricevette l’unzione. Il pomeriggio del 29 maggio 1965 arrivò il momento del trapasso.
«Erano le sedici e trenta – conclude don Fabrizio Deidda nel suo scritto – quando don Antonio Loi si addormentò nel Signore».
La figura di questo giovane sacerdote è evidenziata dalla Chiesa di Cagliari come esempio di sacrificio per la santificazione dei sacerdoti.
Roberto Comparetti
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