Trovare un accordo per avere un governo La necessità di una rapida soluzione dopo le urne
Domenica scorsa si è chiusa una delle tornate elettorali tra le più problematiche degli ultimi tempi e che, tra l’altro, non ha definito immediatamente chi dovrà guidare il nostro Paese.
Alcuni dati tuttavia sono incontrovertibili: il Movimento 5 Stelle è il primo partito, il Centrodestra, a trazione leghista, è la prima coalizione, il Partito democratico, e la sinistra in generale, escono sonoramente sconfitti. Molti analisti descrivono quella che è scaturita dalla urne una situazione problematica, che difficilmente porterà in tempi brevi alla formazione di un governo stabile. Chi però ha vinto, in questo caso il Movimento 5 Stelle e il Centrodestra, dovrà fare sintesi delle posizioni per rispondere al mandato ottenuto dagli elettori. I numeri parlano chiaro: le due compagini insieme hanno la maggioranza dei voti in Parlamento.
Il cerino ora è nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale, una volta definiti gli assetti a Palazzo Madama e a Montecitorio, dovrà conferire un incarico esplorativo ad una persona capace di trovare in Parlamento i voti necessari per governare. Un’impresa non semplice, alla luce dei reciprochi veti incrociati dei pentastellati e del Centrodestra, che andranno messi da parte, per poter dare vita ad un governo.
In molti avevano già pronosticato una possibile ingovernabilità, ma sarà la mediazione lo strumento da utilizzare per far quadrare un cerchio decisamente scomposto.
Dalle urne gli italiani hanno mandato un messaggio chiaro: chi finora ha governato non è stato capace di rispondere alle esigenze delle persone più vulnerabili, e così è stato sconfitto. In tanti hanno lamentato la scarsa attenzione per i giovani senza lavoro, alle piccole imprese non adeguatamente sostenute e la mancanza di alternative alla grande industrializzazione in crisi da decenni nelle zone più depresse.
La spartizione quasi geografica del voto, con il Centrodestra che ha sbancato al nord e i Cinque Stelle che hanno fatto il pieno al Sud, è la cartina di tornasole del malessere profondo che in molte zone d’Italia è presente da troppo tempo, intercettato da alcune formazioni politiche e trascurato da altre. Archiviati i toni della competizione elettorale, una delle peggiori nella storia repubblicana, nella quale hanno prevalso slogan e reciproche accuse, è urgente trovare soluzioni ai problemi oramai cronici.
I mercati finanziari, che per qualcuno sono i veri padroni del mondo, hanno già dato segnali di insofferenza verso un possibile stallo, lo spread è probabile che possa risalire, speriamo non come nel recente nel passato. Bisogna far presto, perché chi si è recato alle urne attende risposte rapide e anche la politica deve imparare darle in maniera celere.
Quanto poi alla presenza dei cattolici nell’agone politico, in molti hanno lamentato la mancanza di un riferimento specifico. In realtà, come ha dichiarato lunedì scorso dagli schermi di TV2000 il professor Giuseppe Tognon, presidente della Fondazione De Gasperi, «in un panorama che vede meno del 30% dei battezzati frequentare le parrocchie, il cattolicesimo militante, nato un secolo fa, non esiste più. I cattolici sparsi nelle diverse formazioni partitiche devono portare all’interno di quelle aggregazioni i valori che sono propri della dottrina sociale della Chiesa».
Un ultimo accenno va fatto al quadro frammentato che l’elettore si è trovato davanti: oltre 170 formazioni hanno presentato i loro simboli al Viminale, 16 solo in Sardegna.
Chi vuole fare gli interessi del nostro Paese è bene che elabori una legge elettorale in grado di semplificare al massimo il quadro: in tempi di vacche magre è preferibile la governabilità, capace di scelte rapide, rispetto alla rappresentatività.
Roberto Comparetti
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