Figlio, va oggi a lavorare nella vigna XXVI Domenica del Tempo Ordinario (anno A)
In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L’ultimo».
E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».
Commento a cura di Christian M. Steiner
Questa domenica Gesù ci arricchisce con un parabola molto semplice ma di epocale importanza per lui stesso. Gesù ci parla di un uomo con due figli che manda a lavorare nella sua vigna. Il primo dice «non ci vado» ma poi ci ripensa e ci va, il secondo dice «ci vado»ma poi non ci va.
Senza mezzi termini Gesù identifica con il primo figlio i pubblicani e le prostitute e, con il secondo, «i sommi sacerdoti e anziani del popolo» (Mt 21, 23) e infine Giovanni Battista con il padre.
Gesù pronuncia questa parabola dopo essere entrato in modo solenne a Gerusalemme la Domenica delle Palme e dopo aver purificato il tempio in modo scioccante.
Siamo nella Settimana santa a pochi giorni dalla morte e risurrezione di Gesù.
L’interlocutore preferito di questi ultimi giorni della fase terrena della vita di Gesù sono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo, vale a dire coloro che tra pochi giorni lo faranno uccidere. In modo commovente, drammatico e deciso, Gesù arringa per un’ultima volta coloro che sono chiamati a interpretare il manifestarsi di Dio nel popolo d’Israele.
Sono prima di tutto i sommi sacerdoti di Gesù, sono i «suoi» farisei, sono i «suoi» capi del «suo» popolo.
Sono coloro che presiedono alla «sua» prima alleanza con Israele. È il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che, «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2). Gesù, ora in carne e ossa, fissa lo sguardo di coloro che lui ha chiamato a rappresentarlo davanti al suo popolo.
Con parabole, con ragionamenti sconcertanti e con attacchi verbali violenti Gesù lotta affinché i suoi sommi sacerdoti, i suoi capi e i suoi farisei possano aprirsi al modo inaspettato con il quale il loro Dio degli eserciti si manifesta davanti ai loro occhi e nei loro orecchi: con il volto e la voce di Gesù di Nazareth.
In modo simile con una passione ancora maggiore, con un’energia ancora più intensa, con una drammaticità inimmaginabile, Gesù risorto oggi agisce nei sacramenti e vuole renderci consapevoli che, in essi, ci rende veramente e concretamente partecipi della sua vita indistruttibile e stupenda.
Con questa vivacità gloriosa vorrebbe aprire i nostri occhi e la nostra intelligenza al suo agire nella storia e nella nostra civiltà attuali per scorgere dove «ispira, promuove e corregge i grandi propositi della famiglia umana» (Gaudium et spes 38), per essere già ora «partecipi» consapevoli «della sua felicità eterna» (Colletta).
Una signora, impegnata in quasi tutti i gruppi parrocchiali della sua comunità, dopo una messa feriale si avvicina al suo parroco e gli fa il seguente appunto: «Caro don, ma lei predica come se Gesù fosse una persona vera».
La signora intendeva dire che il parroco parlava di Gesù risorto appunto «come se» oggi fosse realmente attivo nella celebrazione eucaristica e avesse una sua propria vita nella loro parrocchia e nella loro città.
Per la parrocchiana impegnata una tale convinzione sembrava leggermente esagerata.
Gesù, quello del Vangelo di duemila anni fa, ci ha donato degli insegnamenti preziosi da mettere in pratica, anche oggi non sempre vengono compresi.
La signora ha avuto un’illuminazione grandiosa che, purtroppo, ha interpretato al contrario. Ha colto, nelle parole del suo parroco, la profonda fede in Gesù, vivo e attivo nella Chiesa e nella civiltà attuale. Ha, però, giudicato il sacerdote a partire dalla percezione di sé in relazione al suo Gesù, ben incastrato nelle pagine del vangelo come ogni altra personalità del passato.
Proprio a questo livello si collocano le parole di Gesù e del suo parroco: vogliono sbriciolare in noi quell’illusione che ci fa percepire Gesù come fosse morto.
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