Birocchi: «Attenti alla disintermediazione» Per il presidente regionale dell’Ordine dei giornalisti la delegittimazione degli operatori dell’informazione sta creando problemi da tempo
Secondo Francesco Birocchi, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna, l’indicazione del Santo Padre di evidenziare il bene comune nel lavoro quotidiano è un tema ben presente nel messaggio «Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo». «Direi – dice – che il messaggio è abbastanza chiaro: non significa che i giornalisti non debbano comunicare le notizie, anche quelle più gravi, perché questo è il nostro compito. Dobbiamo però individuare alcuni aspetti di incoraggiamento: bisogna cercare nei fatti, dice papa Francesco, anche elementi di positività».
Il femminicidio è un argomento sempre più rilevante giornalisticamente, tanto da essere tema di corsi di aggiornamento.
Il tema della violenza sulle donne è di stretta attualità, perché, anche per una sorta di riserva culturale inconscia. Contro il nostro volere, spesso, cerchiamo di giustificare in qualche modo chi compie questi gesti. Basti pensare alle formule «ha ucciso per troppo amore» o perché «non accettava di essere lasciato». Sono cose inammissibili, se ci riflettiamo: pur essendo contraddizioni in termini, siamo abituati a dire queste frasi e continuiamo, sbagliando, a farlo. Dobbiamo liberarci di queste brutte abitudini. Occorre lavorare a fondo su questi argomenti, capendo come intervenire: esiste, per esempio, un’associazione che aiuta gli uomini autori di violenze sulle donne a comprendere quello che hanno commesso. Solo cercando di capire il mondo che ci circonda possiamo riuscire a cambiare il corso degli eventi e, aggiungo, noi giornalisti abbiamo un’importante responsabilità a riguardo.
Qual è lo stato di salute della professione giornalistica in Italia?
Viviamo in un momento di «disintermediazione», nel quale gli strumenti della comunicazione consentono di scavalcare i mondi intermedi: in politica si bypassano sindacati e partiti, nel commercio ormai è una corsa all’e-commerce, il medico non è più attendibile se non troviamo conferma su internet e così via. Naturalmente la comunicazione «disintermediata» non prevede più la figura del giornalista, ma un rapporto diretto tra fonte e utente dell’informazione. Questo crea enormi problemi già da tempo: credo che la polemica sui vaccini, ad esempio, sia figlia di questa situazione e parliamo di una questione che tira in ballo la salute e la vita delle persone. In più c’è una tendenza, tutta italiana, alla delegittimazione. Quando sentiamo dire che i politici «sono tutti ladri o fannulloni» si potrebbe cadere nella tentazione di ritenere inutili i meccanismi legislativi e di rappresentanza. Un conto è voler combattere la corruzione, il ladrocinio. Occorre però distinguere la critica a chi ruba rispetto a quella alle istituzioni.
Quale la situazione che vivono i media della nostra Isola?
Lo stato di salute del sistema editoriale sarda è in linea con la situazione nazionale: i due giornali storici, «L’Unione Sarda» e »La Nuova Sardegna», faticano a mantenere il numero delle copie, continuando a soffrire sulla pubblicità e riducendo gli organici. Non so se questa sia la scelta giusta, perché così cala anche la qualità del prodotto. Un fatto che porta a una diminuzione dell’appeal del giornale e, giocoforza, a un calo del numero di lettori, generando un circolo vizioso. Per quanto riguarda le testate di informazione online leggevo che, in tutta Italia, su oltre mille portali solo uno sia in attivo, di stanza a Varese. Il resto sono tutti in passivo, compresi quelli dei grandi gruppi editoriali. Siamo in una fase storica di passaggio, nella quale non abbiamo abbandonato il «vecchio», ma allo stesso tempo neanche abbracciato il «nuovo», che forse non ha le energie economiche sufficienti per tirare avanti. In Sardegna viviamo più «in piccolo» questa situazione di crisi.
Francesco Aresu
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