Ho scelto di amare orfani e abbandonati Suor Silvia Carboni racconta della sua vita da consacrata e della sua preferenza per gli ultimi. Oggi è impegnata nella casa famiglia di Elmas
È difficile raccontare la storia di una vocazione, perché è una storia di vita personale che continua a svilupparsi nel tempo. È la storia dell’incontro con il Tu, è la storia della risposta a una Chiamata, alla chiamata all’Amore, da parte «dell’Amore, all’amante». È la storia di un Dio che è Amore che, a un certo punto della mia vita, ho sentito parte di me. Non in fatti eccezionali, ma nel quotidiano ordinario «mentre riassettavano le reti».
La mia è la storia di una giovane studentessa che amava praticare molto sport e che trascorreva la sua adolescenza tra scuola, amici, campi sportivi e parrocchia. Sono cresciuta alla «scuola di don Zara», parroco per 25 anni a san Pietro ad Assemini, dove ho ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e dove, dopo la cresima, ho continuato ad andare alla messa domenicale e a frequentare il gruppo «post cresima». È sempre all’interno del gruppo parrocchiale che ho conosciuto l’amore per un ragazzo attraverso una relazione di coppia durata più di tre anni.
Oggi, a distanza di quasi 25 anni dalla fine di quell’esperienza, conservo il ricordo di quella relazione con grande gratitudine, oltre che conservare con profonda stima e affetto il ricordo di quel ragazzo che mi ha accompagnato per un «pezzo della mia vita» e con il quale ci siamo voluti bene.
Forse oggi non avrei avuto la consapevolezza che ho sulla storia della mia vocazione se non avessi vissuto quell’esperienza di coppia. È dall’esperienza di questo amore reciproco con un «tu» particolare che si è aperta la strada verso l’Amore, verso il Tu della Vita. Non è stato facile il discernimento. Sentivo di avere tutto, ero soddisfatta del rapporto di coppia, della mia vita sociale, relazionale e sportiva. Provenendo entrambi da un cammino di approfondimento cristiano, Dio era entrato anche nel nostro rapporto di coppia e, insieme, condividevamo i valori cristiani e solidaristici. Ma, a un certo punto, tutto questo non mi bastava più perché non era più sufficiente ad alimentare il nostro rapporto di coppia.
Ho iniziato a trovare uno spiraglio di luce quando ho smesso di chiedermi «cosa voglio?» e ho iniziato a chiedermi «cosa Dio vuole da me?».
Quando mi sono messa nella prospettiva di scoprire il progetto di Dio su di me, ho lasciato il mio ragazzo: non sarebbe stato onesto continuare una relazione di coppia, quando ero alla ricerca del mio progetto personale. Non sarebbe stato onesto nei confronti di Dio e di quel ragazzo. Da quel momento in poi, esteriormente, nella mia vita non è cambiato niente: ho continuato a studiare, a praticare sport, a frequentare la comunità di Elmas, a fare volontariato, a frequentare la messa quasi quotidianamente, anche se mi rendevo conto che qualcosa dentro di me stava iniziando a cambiare, portandomi verso una strada mai pensata: la consacrazione.
Il mio direttore spirituale credo avesse capito ben prima di me in quale direzione Dio mi stava portando, ma mai mi ha parlato della consacrazione. Ricordo solo che un giorno mi aveva dato uno scritto da leggere. È stato in quel momento, leggendo quelle parole, che mi sono resa conto che quello scritto rispecchiava quel che stavo sperimentando: consacrazione, una parola, un programma di vita.
Da quel momento in poi, ancora una volta, nulla esteriormente è cambiato, ma ho iniziato a guardare il mondo «come se». Ho iniziato poi a chiedermi: «e se fossi veramente chiamata alla consacrazione, dove sono chiamata? Alla vita religiosa? Alla consacrazione laicale nel movimento dei Focolari che da tempo frequentavo? Consacrazione missionaria?».
È iniziato così un altro viaggio alla scoperta di me stessa. La risposta a quell’enigma l’ho poi trovata nei valori trasmessi all’interno della mia famiglia: l’amore per gli ultimi, gli ultimi ai quali san Girolamo aveva dato il nome di «orfani e abbandonati».
Da quando tutta la mia famiglia aveva conosciuto la casa famiglia dei padri somaschi di Elmas, cioè dal 1991, ogni Natale, Pasqua, domenica, vacanze estive tutta la mia famiglia è rimasta coinvolta nell’accoglienza di questi ragazzi. Tutti gli amici di famiglia sapevano che trascorrere il Natale da noi significava trascorre il Natale anche con loro, i nostri «fratellini più piccoli».
È lì che mi sono resa conto infatti che solo il carisma somasco rispondeva a questa mia sensibilità.
Sono religiosa da 15 anni, di cui 12 vissuti insieme alle adolescenti della casa famiglia di Elmas. Le opere della nostra congregazione si rivolgono soprattutto all’accoglienza dei minori senza famiglia o temporaneamente fuori famiglia, in base allo spirito di san Girolamo Emiliani, patrono universale della gioventù orfana e abbandonata. La vita con le adolescenti mi costringe ogni giorno a un lavorio interiore che mette a nudo le mie debolezze e fragilità. Mi ricorda costantemente quel grido di abbandono: «Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato».
Quando vivi costantemente a contatto con la sofferenza, con il dolore dell’abbandono, non puoi non ricordare il dolore del grido di abbandono di Gesù sulla Croce, l’impotenza di Maria che stava sotto la Croce. Spesso sperimentiamo l’impotenza di quello «Stabat», altre volte la gioia delle persone miracolate da Gesù, a volte l’angoscia di Giuseppe e Maria mentre cercavano Gesù e, altre volte, la gioia del ritrovamento di Gesù fra i dottori del Tempio.
Silvia Carboni – Figlia di san Girolamo Emiliani
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