Pensiamo insieme al futuro

editorialeUna lettura anche rapida dei dati recentemente messi a disposizione da vari istituti di ricerca restituisce della Sardegna un’immagine in chiaroscuro, tendente allo scuro. In molte delle regioni del Sud si è registrata nell’ultimo anno una crescita del reddito pro capite piuttosto accelerata, che ha toccato il +5,5% in Basilicata, il 2,9% in Molise e il 2,5% in Abruzzo. La nostra regione, invece, assieme a Campania e Puglia, ha visto un incremento solo marginalmente, dello 0,2%. Pesa in questo l’industria ancora in crisi e l’agricoltura che non riesce a decollare. Non dobbiamo dimenticare poi che negli anni della crisi i livelli occupazionali in Sardegna hanno subito una riduzione di ben sei punti percentuali. Questi fatti hanno naturalmente un impatto sul rischio povertà che, infatti, è aumentato anche per chi un lavoro ce l’ha (i cosiddetti working poor). Eppure se consideriamo i risultati del Bes, l’indice di benessere equo e sostenibile, che misura non solo il reddito, ma anche la qualità ambientale, delle relazioni sociali, dei servizi amministrativi e di welfare, scopriamo che la Sardegna ottiene ottimi risultati, migliori anche di quelli di molte regioni del Nord. Ci sono quindi grandi potenzialità nella nostra terra che ancora non riescono a tramutarsi in occasioni di crescita e di sviluppo.

Uno dei nodi cruciali in questo senso è senza dubbio quello dell’educazione. In quest’ambito la performance è al limite del disastroso. Il dato più allarmante è quello degli abbandoni scolastici. Gli early leavers, le persone cioè con un’età compresa tra i 18 e 24 anni che hanno ottenuto solo la licenza media e che sono usciti da ogni percorso formativo, sono in Sardegna il 22,9%, rispetto ad una media nazionale del 14,7%. Peggio di noi fa solo la Sicilia. Se consideriamo poi altri indici che tengono conto del livello delle competenze raggiunte ci piazziamo quart’ultimi.  Contemporaneamente, però, andiamo molto bene sugli aspetti infrastrutturali, il grado di accesso ai servizi per l’infanzia, il numero di classi a tempo pieno e le mense.

Il sistema scuola funziona dal punto di vista infrastrutturale, ma non produce risultati.Solo per fare un esempio, le competenze in  italiano degli studenti dei nostri licei sono inferiori a quelle degli studenti degli istituti professionali del Veneto.

Le ragioni di questo stato di cose sono almeno due: la prima riguarda il fatto che, per loro natura, gli investimenti in capitale umano hanno dei ritorni in tempi molto lunghi, parliamo di generazioni. Ma c’è anche una seconda ragione, più fondamentale, è che l’istruzione formale, quella che si produce nelle scuole, fatta di competenze, conoscenze e abilità, è solo una delle dimensioni del capitale umano. Esiste, infatti, anche una seconda componente «non cognitiva», costituita dal «carattere» della persona, dalla sua perseveranza, dalla sua capacità di impegnarsi, di programmare obiettivi e risultati, di resistere a tentazioni immediate. Questo aspetto viene totalmente dimenticato dalle politiche pubbliche.

Eppure queste due componenti interagiscono tra loro, nel senso che la scuola fornisce le opportunità e il carattere ti consente di sfruttarle con maggiore o minore successo. Accanto a un investimento in infrastrutture occorrerebbe quindi un grande investimento nel «carattere». Questo lo si può fare con maggiore efficacia accompagnando le famiglie e i bambini negli anni prima dell’ingresso a scuola: servizi di affiancamento alle famiglie in difficoltà o a rischio, occasioni di socializzazione per genitori e figli, una politica urbanistica inclusiva, la lotta alla marginalità e all’emarginazione. Sono solo alcuni esempi di forme di investimento di cui siamo fortemente carenti, che avrebbero invece un ritorno fortissimo in qualità dei risultati formativi. Per pensare insieme un futuro migliore per la nostra terra non possiamo non partire da qui, insieme.

Vittorio Pelligra – Prof. Ass. di Politica economica Università di Cagliari

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