Giovani sardi in fuga verso atenei Oltre Tirreno. Calano gli iscritti nell’Isola per lo spopolamento
Se il presente non è roseo sul futuro si addensano molte nubi.
A leggere il rapporto «Mete» delle Acli, emerge un quadro tutt’altro che idilliaco, con la Sardegna che continua a perdere sempre più abitanti, specie giovani, mentre cresce il numero degli ultra sessantacinquenni: un’Isola con molti anziani e meno giovani.
Il periodo che stiamo attraversando non è privo di difficoltà: le conseguenze economiche della pandemia, quelle derivanti dal conflitto russo-ucraino, unite agli effetti del cambiamento climatico, determinano ancora problemi sul tessuto socio-economico dell’Isola, per aziende e famiglie. In questa situazione, si legge nel rapporto Acli, l’intervento pubblico è stato carente, se non assente, non è riuscito a supportare adeguatamente le famiglie.
Ne consegue che la Sardegna continua a perdere residenti, soprattutto giovanissimi e giovani, quelli che dovrebbero costituire la popolazione attiva.
Ragazzi e ragazze che spesso abbandonano l’Isola già durante gli anni di università e che non ritornano o che, dopo aver concluso il proprio percorso di formazione, lasciano l’Isola per trovare un futuro migliore nella Penisola o all’estero, come in maniera impietosa raccontano i dati raccolti.
Le previsioni indicano una situazione grave, con uno squilibrio crescente che vede aumentare la quota di popolazione over 65, con tutto il suo peso sul sistema pubblico. Un carico che, però, risulta inferiore rispetto alle altre aree del territorio nazionale.
«Oggi – dice Vania Statzu, curatrice del rapporto – la popolazione ujnder 15 è del 10 per cento, il dato più basso in tutta Italia, stesso trend anche per i giovani stranieri in Sardegna, sono il 12%. Dai dati emerge che i nostri giovani preferiscono iniziare la formazione accademica oltre Tirreno, sia all’estero che nel Nord Italia, specie Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna».
«Tra le motivazioni di questa scelta – prosegue la Statzu – l’assenza in Sardegna di particolari corsi di laurea, presenti in altri Atenei o la maggiore certezza di sbocchi lavorativi con alcuni corsi fuori dalla Sardegna».
C’è però un dato che emerge dal report ed è decisamente preoccupante.
«Mi riferisco – prosegue la ricercatrice – alla quota sempre più bassa di giovani che si iscrivono all’università, legato allo spopolamento: la quota di sardi in età da iscrizione universitaria, quella tra i 19 e i 25 anni, nel 2002 sfiorava il 20 per cento, oggi si attesta su 6 per cento nel 2050 sarà appena il 4,5 per cento. A questi dati c’è poi da aggiungere quello relativo agli abbandoni degli studi: non avendo conseguito il titolo di scuola superiore non possono accedere agli studi universitari».
Per cercare di invertire il trend sono necessarie riforme strutturali di medio-lungo periodo.
«Per questo – conclude Vania Statzu – è necessario fornire sostegno concreto a chi sceglie di rimanere in Sardegna, a chi vuol mettere su famiglia qui, con agevolazioni per l’accesso al mercato del lavoro, specie per le donne, come ad esempio asili nido e tempi prolungati nelle scuole, capcei di conciliare esidenze di lavoro e famiglia».
Un dato positivo è che ci sono progetti in corso, capaci di attrarre giovani: occorre sostenerli e agevolando la loro permanenza sull’Isola, come il progetto del Formed, finanziato dalla Fondazione di Sardegna: attrae ragazzi dal Magreb, che si laureano nei due atenei sardi, decidendo spesso di rimanere, a patto che ci sia un tessuto territoriale che li supporti.
Roberto Comparetti
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