Fine amara per la piccola Indi Gregory
Dopo la decisione dei giudici inglesi sono state spente le macchine che la tenevano in vita
«La vita di Indi è terminata alle 1.45 di questa notte. Io e Claire siamo arrabbiati, addolorati e ci vergogniamo. Il servizio sanitario nazionale britannico e i tribunali del Regno Unito non soltanto le hanno tolto la possibilità di vivere una vita più lunga, ma hanno anche tolto a Indi una morte dignitosa, a casa sua».
Sono le parole Dean Gregory, padre della piccola Indi, la bambina di otto mesi affetta da una rarissima malattia mitocondriale, per la quale la giustizia britannica aveva deciso la sospensione dei trattamenti vitali.
Sulla vicenda era intervenuto anche papa Francesco sabato scorso, secondo quanto riferito della Sala Stampa.
«Papa Francesco – ha detto il direttore Matteo Bruni – si stringe alla famiglia della piccola Indi Gregory, al papà e alla mamma, prega per loro e per lei, e rivolge il suo pensiero a tutti i bambini che in queste stesse ore in tutto il mondo vivono nel dolore o rischiano la vita a causa della malattia e della guerra».
La vicenda richiama alla memoria casi analoghi in Gran Bretagna, con minori protagonisti di interventi dei giudici che hanno decretato la fine dell’assistenza medica nei piccoli pazienti, determinandone così la morte.
Sul caso è anche nato uno scontro politico nel nostro Paese, la cui utilità si fa fatica a comprendere.
I due giovani genitori, per di più non credenti, hanno cercato di bloccare in ogni modo la decisione dell’Alta Corte inglese, che ha invece ritenuto «il miglior interesse» della bambina fosse solo la sospensione dei trattamenti: la vita di una bimba di 8 mesi non era quindi degna di essere vissuta.
Il vescovo di Pavia, monsignor Corrado Sanguineti, commentando la vicenda, ha denunciato come in Gran Bretagna lo Stato abbia mostrato di avere potere di vita e di morte sui suoi cittadini, «un atteggiamento – ha specificato il presule – che assomiglia sempre più al “Leviatano” evocato dal filosofo inglese Thomas Hobbes».
Ciò che sconcerta, in questa dolorosa vicenda, è l’atteggiamento utilitaristico nei confronti della vita. «Quanti malati, di ogni età e condizione, si è chiesto ancora il Vescovo – sono curabili ma non guaribili?».
«Con il paravento di un presunto accanimento terapeutico la medicina rinuncia alla sua missione e la magistratura inglese promuove un “favor mortis” al posto del naturale “favor vitae”».
È proprio qui che sta la discriminante: nella scelta della morte che continua ad essere la via più breve per risolvere il problema. I genitori di Indi di fatto sono stati privati della patria potestà: è stato impedito loro di scegliere per la figlia, con i giudici che si sono sostituiti ad un padre e ad una madre, trasformando la piccola in una «proprietà dello Stato».
I due giovani genitori chiedevano di continuare ad avere l’assistenza meccanica per far vivere la propria figlia.
Le condizioni della piccola erano precarie, certamente non avrebbe potuto vivere a lungo, ma privarla della necessaria assistenza l’ha fatta morire.
Quello di Indi è l’ennesimo caso registrato nel Regno Unito.
Il «Christian Legal Centre», movimento per la vita britannico, ha chiesto una riforma della legge che consenta alle famiglie di scegliere medici ed esperti che non lavorino per il sistema sanitario britannico: le leggi dovrebbero proteggere la vita e i più vulnerabili.
Roberto Comparetti
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