Il progetto «Marina» aiuta le donne immigrate
Grazie ai fondi 8xmille è stato attivato nello scorso mese nel quartiere cittadino
Un luogo dove incontrarsi, acquisire nuove competenze, fiducia in se stesse, e guardare al futuro.
Nell’ambito del progetto «Marina» attivato circa un mese fa a Cagliari grazie ai fondi 8xmille (fondo carità vescovo) alcune donne immigrate hanno iniziato una nuova vita affiancate dalle volontarie e dalle suore Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli.
Il progetto prende il nome dalla sua sede, l’Asilo della Marina, luogo storico della Congregazione, in un quartiere, oggi multietnico, dove le Suore arrivarono nel lontano 1864 per aprire una scuola.
Qui operarono suor Giuseppina Nicoli (proclamata beata nel 2008) e suor Teresa Tambelli. Grazie al loro impegno le Suore diventarono un punto di riferimento anche per i cosiddetti «piccioccus de crobi», i ragazzi di strada muniti di ceste per ripararsi dal sole, dalla pioggia, ma anche nella speranza di qualche lavoretto di facchinaggio.
«Questo progetto – spiega la responsabile Suor Caterina Bua – ci permette di rivalorizzare questo luogo simbolico, recuperando la sua missione fin dalla sua fondazione».
Inoltre «esso ci consente di raggiungere le donne in modo più immediato. Il loro desiderio è essere autonome, trovare un lavoro regolare, emanciparsi da situazioni spesso segnate da sfruttamento lavorativo e violazione di diritti».
«Le destinatarie – spiega Francesca Pitzalis, coordinatrice del progetto – riescono a instaurare con noi un rapporto di confidenza, fiducia, in modo da far emergere anche eventuali situazioni di sfruttamento lavorativo, far sì che prendano coscienza dei loro diritti».
Loro – di età tra i 20 e i 35 anni – vengono da diversi paesi, arrivano attraverso il passaparola o perché già aiutate dalla stessa Congregazione.
«Il progetto ci consente di dare loro risposte immediate».
Il tutto nell’ambito del lavoro della Congregazione, già impegnata da anni sul tema della tratta/sfruttamento lavorativo.
«Le aiutiamo – spiega Laura Serra, volontaria del progetto – a usare il computer, in modo tale che possano scrivere il proprio curriculum vitae, cercare lavoro, adempiere alle pratiche burocratiche. Sono convinta che impareranno ad auto-gestirsi, a cavarsela da sole, e a integrarsi realmente».
«Entriamo in contatto con loro – aggiunge Silvia Argiolas, volontaria del progetto – tenendo conto del loro background culturale. Qui si sentono al sicuro, cerchiamo di trasmettere loro empatia, vicinanza, la gratuità del servizio. La cosa più gratificante è renderle indipendenti, sapere che stanno bene anche senza di noi».
Tra le donne, anche Carla (nome di fantasia), arrivata dall’Indonesia una ventina di anni fa.
Dopo anni di sfruttamento lavorativo, qui ha iniziato a guardare al futuro.
«Avevo l’esigenza di cambiare la mia vita. Quando parlo con le volontarie mi sento libera, sento che mi posso confidare, perché loro non mi chiedono nulla in cambio se non sorrisi. Per me – continua commossa – si è aperta una luce dopo anni di buio. Sto imparando a usare il computer, vorrei trovare un lavoro con i bambini. Sto acquistando fiducia in me stessa e nelle mie capacità».
Maria Chiara Cugusi
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