Chi entra dalla porta, è pastore delle pecore

IV Domenica di Pasqua (Anno A)


Di Meister des Mausoleums der Galla Placidia in Ravenna

Chi entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante.

Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori.

E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 

Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore.

Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.

Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

(Gv 10,1-10)

Commento a cura di Roberto Ghiani

In questa IV domenica di Pasqua, la cosiddetta «Domenica del buon Pastore», leggiamo la continuazione della polemica tra Gesù e alcuni farisei dopo la guarigione del cieco nato (cf. Gv 9). Rivolgendosi a questi «pastori» del popolo, che rifiutano la rivelazione del Figlio di Dio, Gesù si auto-definisce «porta delle pecore» e «buon pastore».

Il suo messaggio raggiunge i lettori di oggi, sia coloro che hanno una responsabilità nelle comunità cristiane (sacerdoti, catechisti, genitori), chiamati a svolgere il loro servizio seguendo l’esempio del «buon pastore», sia quanti si riconoscono parte del gregge di Cristo, invitati a considerare come Gesù si prenda cura di loro.

Il retroterra veterotestamentario del discorso di Gesù è la figura di Yahweh unico e vero pastore d’Israele (cf. Gen 48,15; Sal 23,1; 28,9; 80,2; ecc.), i cui rappresentanti presso il popolo sono ministri talvolta infedeli (cf. Ger 23,1-8; Ez 34): non si preoccupano del gregge e curano solo i loro interessi. 

Il Signore, pertanto, annuncia: «Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna […]. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d’Israele […] Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,11-16). 

Le parole di Gesù ai farisei alludono al compimento di questa profezia e le immagini utilizzate sono significative.

Anzitutto egli si definisce la «porta delle pecore».

La funzione della porta nell’ovile è duplice: quando è chiusa, protegge il gregge dall’assalto dei predatori e dai ladri; quando è aperta, consente l’uscita del gregge per il pascolo.

A questa immagine si aggiunge quella del «buon pastore», che si contrappone a ladri e mercenari.

Il ladro si impossessa di beni altrui, il mercenario si prende cura delle pecore a pagamento e fugge nelle difficoltà.

In definitiva, ladri e mercenari curano soltanto i propri interessi, atteggiamento che San Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Filippi, deplorava: «Spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo, per essere anch’io confortato nel ricevere vostre notizie.

Infatti, non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ciò che vi riguarda: tutti in realtà cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2,19-21).

Solo Gesù si preoccupa davvero del bene delle pecore: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Le conosce (sono «sue») e le chiama per nome, assegnando a ciascuna un progetto personale di vita e felicità; le «caccia» fuori dall’ovile, le fa uscire dagli ambienti protetti e sicuri perché vivano nel mondo come testimoni di speranza; cammina davanti a loro, per guidarle.

Ma, soprattutto, invece di privarle di qualcosa, dà la sua vita perché le pecore abbiano la vita. 

Solo lui è il buon pastore e solo chi si comporta come lui può essere un autentico «pastore» nella Chiesa.

Chi entra dalla porta, è pastore delle pecore.

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